di Chiara Gentile, III D

Fin dalle antiche civiltà l’intellettuale ha avuto un ruolo chiave nella relazione con il potere, giustizia e ingiustizia, prendendo la funzione di mediatore tra l’autorità e il popolo.

Un esempio lampante è Socrate, che visse nell’Atene del V secolo avanti Cristo, condannato a morte poiché accusato di non credere negli dei della tradizione e corrompere i giovani. Il filosofo preferì bere la cicuta piuttosto che negare le proprie credenze.

Un altro esempio lo troviamo nell’antica Roma del I secolo dopo Cristo con Seneca. La relazione tra intellettuale e potere, e tra sudditi e potere, è evidente nel “De clementia’’. Il destinatario di questo trattato di filosofia politica è l’imperatore Nerone, spronato all’agire clementemente.

Con un salto all’età moderna con l’articolo intitolato “ di Emile Zola si può tornare a riflettere su questo rapporto. Zola scrisse in difesa di Alfred Dreyfus, un generale di origini ebree dell’esercito francese accusato falsamente di alto tradimento. Processi condotti a porte chiuse, documenti di ovvia falsità. Ma comunque l’opinione pubblica era divisa tra chi a favore e chi contrario alla colpevolezza di Dreyfus. Zola decise di esporsi non solo difendendo Dreyfus ma criticando anche il sistema giudiziario francese e sfidando con grande coraggio le autorità. «La verità la dirò io poiché ho promesso di dirla, se la giustizia non l’avesse stabilita, piena ed intera. È mio dovere parlare, non voglio essere complice». Afferma inoltre l’importanza della testimonianza, sottolineando l’importanza di parlare quando si è testimoni di un’ingiustizia. La sua affermazione evidenzia un concetto fondamentale: l’impegno personale verso la verità e la giustizia non può essere ignorato, nemmeno di fronte alla paura delle conseguenze. Nella lettera esorta la gente onesta a ribellarsi. Il coraggio, l’interesse nell’impegno civile e morale di Zola anteposti ai possibili rischi e ripercussioni sono palpabili.

Pasolini nel 1974 pubblicò sul Corriere della Sera ‘’Io so’’, un vero e proprio inno alla libertà di stampa. In questo articolo Pasolini critica la situazione politica e la classe dirigente del Paese negli anni di piombo, dichiara di conoscere i nomi dei responsabili di molti delitti, accusa la passività degli altri intellettuali contemporanei. Questo articolo presenta un invito a riflettere sulle conseguenze della passività e sull’importanza della critica sociale di tutti i cittadini.

I secoli passano, la storia con le sue dinamiche evolve, talvolta succede che gli intellettuali si trovino in stati di passività e di servilismo nei confronti della società e autorità come gli storici dell’impero criticati da Tacito o gli intellettuali criticati da Pasolini, ma le responsabilità e obiettivi dei veri intellettuali restano immutati.

Come scrisse Pasolini: «A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale». Un intellettuale degno di essere chiamato così non può restare estraneo ai conflitti sociali e politici, l’impegno critico e la responsabilità sociale sono i valori cardine. La loro eredità ci sprona a riconoscere che il silenzio e la complicità non sono opzioni accettabili di fronte alle ingiustizie del mondo contemporaneo.

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