Testo vincitore della sezione Scrittura Creativa del Certamen Dantesco “Li dolci detti vostri” 2025 organizzato dal Liceo Dante Alighieri in collaborazione con l’Università di Tor Vergata.
di Sofia Liverani, II F
Mio Lapo,
del viaggio mio dall’Onnipotente graziatomi a voce e a inchiostro già ti feci racconto; scene e spire e vicende vedute con li occhi miei descrissi a te e all’uomo tutto con altri termini, quelli degni d’una eloquenza ch’in rima puote esser messa per iscritto; ma nulla mai il mio cor, più de li occhi ebbe veduto tante e variopinte palpitazioni. Mihi volgi la mente, dunque, te ne prego, sicché sol un amico puote comprender tali moti d’animo tanto intestini.
Della landa fitta e selvatica venni a una picciola radura, fu come aprir l’occhi dalla nascita la volta prima. Uno svenimento che mi fece girar il capo, universo mi pervase, consciente d’improvviso non d’aver sfiorato il fondo, sì d’essermici incautamente adagiato. Era impietrito come Medusa una volta vistasi in riflesso, ma devoto a Cristo qual io sono, non potei giammai disperare. Fu quello il momento ‘n cui presi la via e il passo mio, altissima guida meco, si fece d’impacciato ardito e risoluto. Incontrai di lì spirti molti, e se lo mio duce savio saldo pilastro non fosse mihi stato, io qui non saria a scriverti questa epistola – sia lodato Iddio ora e in etterno per aver colmato ogni mia esitazione afiancandomelo. Evito ora inutili calamistri che Tulio tanto lodò, eppur lascia ch’io ti dica, quanto mihi è possibile, degli infiniti dolori che vidi e condivisi. Lapo: tu mi conosci. I’ son di cagionevol animo – gentile, dirian taluni. Ricorderai certo le nove notti e i nove dì ch’io piansi quando la madonna mia dipartì; ma mai, ti dico ‘l vero, sentii la Morte baciarmi lo spirto quanto fece davanti la sposa di Gianciotto, di cui rammenterai l’infelice vicenda. Prese ‘l timone della mia mente una téma fatale che a quell’etterna quiete sentii farmi prossimo – persi i sensi sì come la certezza di ciò ch’ebbi in vita svolto. Rimpiansi, oh Lapo, gl’insofribili martìri ch’in gioventù per amore penai, ricordando con dolceamaro rammarico ogni dolore che sulla Terra gemetti: erano effimeri. Dal giorno della nuova nascita, peccatore non cessa di dolere, privato d’ogne tregua secondo la volontà di Colui che sol conosce giustizia.
Venn’io poi, delle terre di tetri guai, a ritrovar respiro, un sospiro di sollievo, un sussulto, quasi, di letizia, ai piedi d’un monte. Questo primo d’una seconda serie di passi fu ‘l più giulivo anco per un felice incontro: ricordi ‘l mio amico Casella? Come dimenticar il caratter suo solare, travolgente ‘n ogne occasione! Riuscì a portar nuovamente un dolce riso sulle labbra mie che quasi avean perduto la memoria del gesto. E non dico certo ‘l falso quando tibi racconto che da lui un’intera schiera di penitenti fu facilmente animata a inneggiare quegli stessi versi d’amor profano ch’io con Guido e te scrissi. Non mi vidi, egli ‘l fece: d’una soave maraviglia ‘l viso mi dipinse.
Ma tal stupore, com’ogne altro, fu nulla innanzi all’inefabil beltà di cui ‘n cielo fui messo a godere. La guida mia già avea fatto ritorno al loco ‘n cui ‘l Sommo Giudizio l’avea relegato; ed io, come lui, seppur per motivi opposti, era sospeso, sospeso nell’etere, tra beati e beati, e sospesa la mia mente, limitata per poter tentar l’impresa impossibile del coglier la beltà infinita del riso dell’universo, ciononostante estasiata, ebbra di Dio Padre. Potei percepire appieno soltanto un immenso calore sotto la mia pelle, negli esili miei arti, come gli antichi scrivevano. Spero tu riesca a capirmi, a riporre sacra fiducia nelle parole mie, oh mio Lapo, quando senza esitare tibi dico che è vero che mihi fu mostrata la Verità, il volto ridente di Colui che è, ed io potea soltanto rimaner maravigliato. Tutto ciò di cui tu non puoi pensar di più grande, fulgido, si trovava dinanzi questi due miei occhi – occhi che non vedeano, che non potean vedere, e che non avrian potuto veder nemmeno se uniti a quelli di tutti li abitanti del globo. Percepiva un incontenibile bagliore che fuor di me non illuminava, sì dentro: dentro splendea una fiamma inarrestabile che tutto bruciava, ed io – io mi sentiva ardere come un ceppo in una pira, e mi vedeva ardere come le scintille che, fuggendo dal calore, guardan la fiamma lor madre.
Mio fidato, fortasse questa è la risposta a noi mortali disponibile al Mistero ch’Iddio afida ad ogne fedele: la Maraviglia d’un’anima gentile.
Semper sis felix.
Tuo, Dante