di Veronica Angelini, II G

Anche quest’anno, il nostro Liceo ci ha offerto la possibilità di partecipare a un bellissimo progetto, INDAgando, in collaborazione con la fondazione Angelini, che permette ai ragazzi di molti licei italiani, non solo classici, ma anche altri indirizzi, di vedere dal vivo delle opere greche, messe in scena al Teatro Greco di Siracusa.
Questa attività dà la possibilità agli studenti, specialmente del quarto anno del liceo classico, di vedere dal vivo le tragedie studiate, per riuscire a comprenderle meglio. Le tragedie messe in scena quest’anno erano due, ed entrambe di Sofocle: l’Edipo a Colono, con regia di Robert Carsen e traduzione di Francesco Morosi, e l’Elettra, con regia di Roberto Andò e traduzione di Giorgio Ieranò.

La prima, Edipo a Colono, tratta della vicenda successiva all’Edipo re, sempre di Sofocle, dove troviamo un Edipo perso, cieco, che cerca un rifugio fuori da Atene, insieme alla figlia Antigone. In questa tragedia il tema centrale è l’ospitalità, data da Teseo, re di Atene, a Edipo, e si può quindi vedere il significato politico della tragedia: Sofocle si affermò durante l’Atene di Pericle, e, in questo modo, vuole mostrare la sua grandezza.
La trama, però, non è così semplice quanto possa sembrare: Creonte cercherà di convincere Edipo a tornare a Tebe, che aveva lasciato dopo che si era scoperta la colpevolezza, e allo stesso tempo innocenza di Edipo, per aver inconsapevolmente ucciso il padre e giaciuto con la madre. Anche Polinice cercherà di convincere il padre, successivamente, a tornare in patria, in quanto la situazione è degenerata: il fratello minore, Eteocle, vuole tenersi il trono, non rispettando il patto per cui avrebbero governato ad anni alterni.
La scenografia era ben realizzata, con una scalinata e degli alberi, che davano l’idea di un tempio antico. Gli attori erano veramente molto bravi, specialmente l’attore che interpretava Edipo (ndr Giuseppe Sartori), e i costumi erano modernizzati, con abiti eleganti, giacca e cravatta bianchi per gli ateniesi e neri per i tebani (contrasto cromatico che rifletteva il contrasto politico) per gli uomini, e vestiti lunghi con giacche per le donne, neri per Antigone e Ismene, e lunghi e verdi per le divinità del tempio. Edipo, invece, indossava un abito rovinato dal tempo, che dava l’idea della sofferenza da lui provata.

La seconda, Elettra, tratta invece un mito già affrontato da Eschilo, nell’Orestea, ovvero la vendetta di Elettra e Oreste per la morte del padre Agamennone da parte della moglie Clitemnestra. In questa tragedia si vede molto bene la differenza fra le due Elettre: quella di Eschilo appare fredda, sola, triste per la morte del padre, ma non ha un ruolo così importante come in Sofocle, dove appare vendicativa, arrabbiata, e pronta a tutto pur di vendicarsi del padre. Elettra rimane fedele al padre, ed Oreste, che ha consegnato alla nascita a un pedagogo per la paura che la madre potesse uccidere anche lui, appare come la sua unica via di fuga dalla prigione che la sua casa è diventata. Durante un dialogo tra Elettra e la madre, quest’ultima spiega le sue ragioni: lei ha ucciso il padre, in quanto Agamennone ha sacrificato la figlia per poter salpare verso Troia, e questo dolore lei non lo ha mai dimenticato. In questo punto della tragedia si prova pena per Clitemnestra, e la si può anche comprendere: il suo è il dolore di una madre, a cui è stata sottratta una figlia.
La scenografia, anche qui, era molto fedele all’opera: la casa dove avvengono i delitti di Clitemnestra ed Egisto, e il “portico” con il pianoforte che, suonato dalla protagonista, simboleggia il canto dell’usignolo e due letti per simboleggiare l’unione extraconiugale tra Clitemnestra ed Egisto. I costumi in questo caso erano più fedeli all’epoca, e un particolare notevole è il colore rosso-porpora del mantello di Egisto, che rimanda all’Agamennone: come quest’ultimo prima di morire ha camminato sopra un tappeto rosso, che simboleggiava il sangue che avrebbe perso, Egisto ora, prima di essere ucciso, indossa un mantello dello stesso colore.

Le due tragedie sono state stupende, con le loro differenze: l’Edipo a Colono parla della sofferenza in una chiave più religiosa, dove il protagonista prega gli dei di lasciarlo in pace, dopo tanti anni di dolore, mentre in Elettra il dolore distrugge la protagonista, quasi a portarla a una condizione di pazzia.
Tra le due tragedie, da un punto di vita interpretativo, mi è piaciuta di più la prima, in quanto l’ambientazione e la rappresentazione erano più coinvolgenti, da un punto di vista simbolico, la seconda. In quest’ultima, infatti, viene studiato e osservato il dolore da due punti di vista: quella di una madre, a cui il marito ha tolto una figlia, e quello di una figlia, a cui la madre ha tolto il padre.

Durante il viaggio, abbiamo anche avuto modo di visitare tra città siciliane, ovvero Catania, Siracusa e Noto.

A Catania, dove siamo atterrati, abbiamo fatto una bellissima passeggiata lungo il Corso Italia, soffermandoci nella Cattedrale di Sant’Agata e davanti alla Statua dell’Elefante, simbolo di Catania. Abbiamo visto anche la Chiesa di San Niccolò l’Arena, il bellissimo cortile dell’ex-Monastero dei Benedettini, ora sede di aule universitarie, e la Villa Bellini dove ogni mese viene cambiata la data, attraverso un complesso impianto floreale. Importante fermata è stata la Pasticceria Savia, dove ci siamo fermati per gustare i cannoli e le granite siciliane.

A Siracusa, oltre al magnifico Teatro Greco, situato nel Parco archeologico della Neapolis, abbiamo visitato la penisola di Ortigia, con la sua incantevole Cattedrale della Natività della Maria Santissima e la Chiesa di Santa Lucia, dove ci aspettavamo di trovare il famosissimo affresco di Caravaggio, che rappresenta il martirio di Santa Lucia, ma lo abbiamo scoperto trovarsi nella Cattedrale di Santa Lucia a Siracusa. Dopo 40 minuti di camminata, siamo riusciti a vederlo, e ne è veramente valsa la pena!

A Noto, infine, abbiamo visitato la bellissima Cattedrale, ed essendo l’ultimo giorno di viaggio, ci siamo godute le stradine della città e abbiamo concluso con una buonissima granita.
Nonostante il caldo, l’aria di mare ci rinfrescava, permettendoci di godere a pieno delle nostre passeggiate.

Mi sono innamorata di tutte e tre le città, che i nostri cari professori, la professoressa Lucia Altobelli e il professore Salvatore Tufano, ci hanno reso possibile visitare molto bene.

Quest’esperienza mi ha cambiato, facendomi vivere la famosa katarsi di cui parla Aristotele.

Di Veronica Angelini

II G, caporedattrice.

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