di Stefano Subioli, III G
In un passo, tratto da “I sommersi e i salvati”, il sopravvissuto di Auschwitz Primo Levi propone una riflessione in merito al tema della violenza, affermando come quest’ultima possa manifestarsi in due forme distinte: quella utile e quella inutile.
La violenza è utile in quanto mira a uno scopo ben specifico, di natura poetica, ideologica, ecc. Le si lega anche il concetto di morte in sé, dal momento che un mondo di immortali, essendo inconcepibile, sarebbe ancora più violento di quanto lo sia quello mortale. Atti estremi come l’assassinio o le guerre, seppur detestabili, non sono da definirsi inutili in quanto aspirano a un fine (salvo casi eccezionali di follia omicida), pertanto le sofferenze ne sono conseguenza. Per esporre il concetto di violenza inutile, fine a sé stessa, l’autore fa ricorso all’esempio della Hitlerpolitik: il dolore e l’oppressione provocati erano tese ad uno scopo, sempre ridondante, dove la violenza è stata portata all’eccesso in relazione allo scopo stesso. «Logica intesa al male o assenza di logica?», è la domanda che si pone Primo Levi per dare una spiegazione alle azioni quasi inconcepibili del regime nazista. Essendo stati messi in luce pochi dei postulati e obiettivi del disegno nazionalsocialista nel Mein Kampf, l’autore giunge alla conclusione che quelle gesta brutali e colme di tracotanza non fossero frutto di pura follia, bensì di una Gründlichkeit, letteralmente una logica inesistente. In aggiunta a ciò Primo Levi svolge un’analisi sul mito del superuomo formulato dal filosofo tedesco Nietzsche, che venne adottato da Hitler per giustificare la propria ideologia: riconosce come la sua filosofia sia stata distorta e “tradita”, portata al di fuori della razionalità e da ogni principio morale. Dalle parole di Nietzsche è possibile intravedere l’indifferenza, ma la Schadenfreude, ossia la gioia per il danno prossimo, mai venne resa palese. Nessuna affermazione di Nietzsche giustifica la violenza a dir poco sproporzionata introdotta dalla prassi hitleriana. La cultura in tal caso è stata impiegata non come chiave per la libertà, bensì come strumento di repressione.
La violenza è purtroppo una parte intrinseca dell’uomo e della vita quotidiana. Nel pensiero collettivo si tende a pensare alle fabbriche della morte dei campi di sterminio nazisti come esempio per eccellenza di un’oppressione portata alla sua massima estensione: ciò accade in quanto non si è ben informati. Poco tempo fa è stato rinvenuto un campo di sterminio dell’area metropolitana di Guadalajara nello stato di Jalisco, dove il cartello messicano CJNG (Cártel de Jalisco Nueva Generación) torturava brutalmente le vittime. In altre zone del mondo da decenni o persino secoli vengono perseguitate etnie di minore rilevanza sociale in appositi campi di “lavoro forzato“: le popolazioni in questione sono quelle degli Hazara (di religione sciita, non conforme quindi agli ideali di quelle sunnite in Afghanistan), che da tempo fuggono cercando rifugio sulle vette innevate dell’Hindu Kush; le genti degli islamici Uigoro in Cina e dei Rohingya in Myanmar, anch’essi di religione musulmana, divergenti quindi al buddhismo. La rapidità con cui vengono eseguite queste persecuzioni senza alcuna pietà fa venire la pelle d’oca solo al pensiero. Non più di cinque lustri fa dietro l’angolo della nostra penisola avvenne il massacro di Srebrenica: nel giro di poche ore vennero massacrati più di 8000 individui, tra cui donne e bambini. Migliaia sono state le vite spezzate come le loro storie e i sogni. Sotto i riflettori del mondo occidentale sta avvenendo anche lo spietato massacro del popolo palestinese, inerme di fronte alla potenza israeliana. Con grande rammarico ritengo che sarebbe impossibile riportare tutti gli episodi di violenza che avvengono su questo pianeta, non sarebbero sufficienti neanche un milione di fogli protocollo per elencarli, qualora dovessi mai conoscere anche gli eventi dei quali siamo tenuti all’oscuro. Nonostante abitiamo nella giusta parte del mondo, nel miglior periodo storico, la violenza è sempre dietro l’angolo, è un qualcosa di estremamente vicino a noi, è all’ordine del giorno. La pace è un concetto effimero e poco durevole, così afferma la sociologia. Il conflitto è inevitabile, un mondo senza sarebbe alquanto utopico e, spesso, anzi, quasi sempre, sfocia nella violenza, in quanto è utile e soprattutto comoda. Il dialogo si rivela essere la strada più complessa da intraprendere, è senza ombra di dubbio maggiormente semplice imporre in maniera poco pacifica il proprio pensiero. La violenza è propria dell’uomo, ma diversamente dal conflitto, è una conseguenza che può essere sconfitta tramite la cultura. Quest’ultima ci fa comprendere come l’essere umano compia sempre gli stessi errori e come avvenga una costante «ανακύκλωσις» nel corso della storia. È sempre stata il nemico più grande di tutti i regimi totalitari, società fondate su organizzazioni mafiose e inquisizioni religiose; infatti numerosissimi sono stati gli episodi di bibliocastia, “roghi letterari” e autodafé (quest’ultimo termine indica “l’atto di fede” imposto dall’inquisizione portoghese per giustificare la censura di libri profani). Non sono mai venuti a mancare gli assassini di persone “scomode“ che impartivano il sapere, un esempio vicino a noi è certamente la serie di attentati che causarono la morte di Falcone, Borsellino e padre “3P“(padre Pino Puglisi, ndr). Costoro hanno liberato una grande fetta della popolazione meridionale da un secolare retaggio culturale basato sulla repressione e su una giustizia soggettiva, data dalle infiltrazioni mafiose e dai “boss di quartiere“. L’istruzione impartita da 3P ai giovani fanciulli della borgata Brancaccio di Palermo ha spazzato da quelle giovani menti convinzioni ingannevoli e distorte, frutto dell’indottrinamento mafioso. Pertanto, l’educazione e la consapevolezza emergono come lo strumento chiave vincente per un mondo che soffre fin troppo. Valori come la pietà, la compassione e in particolar modo l’empatia, se vissuti in maniera efficace senza lasciare nessuno indietro, possono rendere la società umana tollerante, sconfiggendo la xenofobia, la paura del diverso. La cattiveria non è affatto gratuita, in quanto mossa dall’egoismo personale che viene impartito in maniera implicita dalla comunità; dunque è compito della collettività fare in modo che nessuna “colonna” leopardiana ceda. L’indifferenza è annientatrice della speranza in un mondo pacifico. Provoca anche danni a proprie spese, come è ben spiegato nella poesia del pastore Niemöller, usata contro il regime nazista, ma in realtà riguarda tutti noi, nessuno escluso. Stiamo vivendo in epoca dove è molto valorizzato il progresso scientifico, ma quest’ultimo viene meno se non ci si impegna per un avanzamento di natura sociale, col quale venga garantita l’educazione e l’insegnamento dei valori elencati in precedenza. Infatti non mi trovo in linea con il pensiero positivista. D’altro canto il tema affrontato è estremamente complesso, tanto che l’ipotesi che la violenza possa essere intrinseca nell’uomo è piuttosto probabile. Per questa ragione ritengo opportuno concludere questo testo senza una mia opinione personale e soggettiva, bensì con una citazione dell’illustre Albert Einstein:
«I topi non costruirebbero mai una trappola per topi, mentre gli esseri umani costruiscono bombe atomiche».
La specie umana è estremamente intelligente quanto sciocca.