di Samuele Moscetta, I E
Negli ultimi mesi è diventato chiaro come la violenza, di fronte alla quale non ci si stupisce più, sia stata progressivamente normalizzata anche nelle sue forme più concrete ed estreme. Appare evidente come essa sia stata assimilata ed utilizzata anche dagli esponenti dei governi occidentali (quelli a noi più vicini e nei quali siamo costretti a riporre più fiducia) come strumento per dividere l’opinione pubblica e creare distinzioni nette e rigide su qualsiasi questione, sia essa economica, politica o sociale. In uno scenario geopolitico instabile e caldo come quello che stiamo vivendo, infatti, la giustificazione della violenza o la sua strumentalizzazione è quanto di più grave e pericoloso possa essere fatto da coloro che hanno tra le mani il futuro dell’umanità.
I governi occidentali, nell’immaginario saldi intoccabili fari di democrazia e progresso, sono stati palcoscenico di un’escalation costante di divisioni politiche e sociali, culminate nell’inquietante notizia giunta il 10 settembre scorso: l’assassinio dell’attivista politico statunitense Charlie Kirk, avvenuto nel corso della sua visita all’Università dello Utah, nella città di Orem. La figura stessa che incarnava il giovane politico (uno degli esponenti delle frange repubblicane statunitensi, a sostegno di Trump, e fondatore di Turning Point USA, un’organizzazione volta alla diffusione di idee conservatrici nelle scuole superiori, nei college e nelle università) e le reazioni contrastanti, giunte dopo l’attentato, sono prova tangibile di un processo di polarizzazione ormai evidente e giunto in una fase avanzata. Kirk, nella sua breve carriera politica, ha sempre generato controversie per i contenuti dei suoi discorsi, poco propensi al contraddittorio con i sostenitori di linee ideologiche differenti.
Questa strategia, largamente adottata da un nutrito numero di politici appartenenti a schieramenti e linee di principio differenti, crea due impliciti molto pericolosi:
- Se un individuo è d’accordo con quanto espresso, è obbligatoriamente in conflitto con un gruppo di persone di altro avviso.
- Queste ultime cessano di essere interlocutori con cui confrontarsi, diventando nemici da combattere e “sconfiggere”.
In un contesto di questo tipo entrambe le fazioni sono inclini a semplificare la realtà, accrescendo ulteriormente la frattura. La delineazione di due gruppi porta, tramite un processo psicologico che prende il nome di “bias di appartenenza” (che ha radici nella preistoria, quando serviva all’’uomo per distinguersi in una cerchia di simili), ad un esito inevitabile: un individuo che si identifica in una di queste due fazioni distingue un “noi” dal “loro”. È pertanto certo che, dal suo punto di vista, “noi abbiamo ragione”, quindi “loro hanno torto”. “Noi abbiamo dunque diritto di essere ascoltati”, “loro non ne dispongono”. Questo processo, all’apparenza banale, è fondamentale per comprendere a pieno le motivazioni che spesso portano alla frattura dell’opinione pubblica in due schieramenti rigidi invece di generare un dialogo costruttivo e profondo su argomenti complessi e, proprio per questo, impossibili da semplificare.
Inoltre, nel momento in cui i membri del gruppo “avversario” incarnano tutto ciò che l’individuo teme o odia, questi smettono di essere visti come persone, accrescendo oltremodo l’intolleranza e la disposizione ad ascoltare secondo un altro processo psicologico che prende il nome di deumanizzazione.
Tornando a Kirk, possiamo affermare come sia assodato che questi – più o meno direttamente – dividesse e diffondesse odio, alimentando nel piccolo questa escalation di tensioni, ma la sua morte fa lo stesso in maniera ancora più lampante.
La morte di un uomo, ucciso per le sue idee politiche, è stata strumentalizzata sia da coloro che ne condividevano il pensiero che da quanti ne prendevano la distanza. I primi hanno usato la morte di Kirk per affermare, con un “dato di realtà”, come “la sinistra radicale – come espresso dallo stesso presidente Trump davanti ai giornalisti nello Studio Ovale – utilizzi la violenza per mettere a tacere, mentre il partito repubblicano voglia diffondere il proprio pensiero pacificamente”. Una visione estremamente semplicistica e monolaterale che sfrutta e flette una notizia tragica e sconvolgente per cercare consenso e accusare l’opposizione.
I democratici, dal canto loro, hanno ribadito come atti violenti di questo tipo – inaccettabili ed indifendibili – non sono stati perpetrati esclusivamente da elettori “dem”, ma anche da uomini di fede repubblicana; citando più volte l’assassinio di Melissa Hortmann (ex speaker democratica alla camera) e di suo marito o l’attacco al senatore John Hoffman e sua moglie (entrambi rimasti feriti). Questa narrazione è inquadrabile in un ragionamento quasi infantile per cui si esprime la propria lontananza dall’omicidio per poi ricordare che però anche loro hanno commesso crimini analoghi.
La reazione più consona – non per gli interessi politici delle due fazioni, ma per il rispetto stesso della vittima – sarebbe stata quella di condannare in modo fermo, chiaro ed esplicito l’assassinio in quanto ha decretato non solo la morte di un uomo e di un politico, ma della democrazia stessa, intesa come possibilità per chiunque di esprimere il proprio pensiero. Entrambi gli schieramenti hanno invece utilizzato la notizia per spezzare la popolazione, per creare – ancora una volta – due gruppi distinti, lontani e descritti come incompatibili, inconciliabili: “Noi siamo la parte offesa”, “loro gli oppressori”. “Noi siamo nel giusto”, “loro ovviamente nel torto”. “Loro sono pericolosi” allora “noi possiamo usare la violenza”.
Coloro che si identificano in uno di questi due gruppi finiscono per dimenticare il motivo stesso per cui sono portati a odiare la fazione opposta che da “avversaria” diventa “nemica”.
Queste retoriche divisive non fanno altro che deviare l’attenzione da ciò che dovrebbe essere il fine comune: individuare le cause sociali (non le motivazioni del singolo assassino) che hanno portato al tragico avvenimento.
È raccapricciante osservare come la politica moderna riesca a dare un colore politico alla morte di un uomo, assassinato per i suoi ideali, che – va ricordato – per quanto controversi o radicali, non possono portare al crudele omicidio dell’individuo che li sostiene.