Capalbio.

“Qual è il tuo posto del cuore?”

di Biancamaria Emanuela Mungari, II D

A cosa pensate voi? Quando il soffio che fuoriesce dalle labbra di un vostro amico suona come la domanda: “qual’è il tuo posto del cuore?”, a cosa pensate voi? Pare inconcepibile come una domanda semplice, eppure contemporaneamente così intima e profonda, sia capace di riaccendere, dolcemente, una fioca luce di nostalgici ricordi, nascosti dalla polvere del tempo.

Nella mia anima, alla melodia di questo quesito, comincia a rimbombare il ruggito del mare, che pian piano diviene sempre più forte e travolgente, fino a inebriare completamente i miei sensi, illudendoli di percepire e assorbire quella stessa brezza calda di libertà che sono in grado di assaporare solo in QUEL posto; quello del MIO cuore. Le palpebre, sedate dall’estrema sensazione di magica tranquillità, scaturita nell’intimo del mio corpo, delicatamente rendono caliginosa la mia vista, occultandomi le iridi cerulee e dislocando il mio corpo nell’atopia del ricordo della soffice e grumosa sabbia scura, che abbraccia solleticandole le piante dei miei piedi nudi. Persa la cognizione del tempo, vedo nella mente affiorare gradualmente sulla sabbia delle minute e superficiali orme. giovani. infantili. le narici sono pian piano deliziate da quel caloroso profumo di casa, di pace, di mamma, di papà, mescolato all’aroma salato del vento e del mare, permettendomi di rimembrare il calore delle mie mani strette a quelle dei miei genitori, intenti a insegnarmi come disegnare quelle stesse “buffe e storte impronte sulla spiaggia con i piedini”.

Il vento spira, sbiadendo l’immagine ai miei occhi e schiarendo il cielo dalle nubi riflesse nell’acqua per lasciarvici specchiare il sole nel medesimo istante nel quale quest’ultimo, tiepido e porporeggiante, congiunge il cielo con la terra, mentre pigramente si assopisce. l’ultimo raggio di luce della stella, oramai quasi invisibile, rianima, impercettibile, l’immagine di una serata di mezza estate, spensierata, innocente, mite, articolata di risate sincere, dietro un cartone di pizza consumata e un pallone, che con la comparsa delle stelle trapuntanti il manto nero della notte, si è conclusa con i desideri di sette ingenui adolescenti, alcuni espressi, altri rimasti sospesi fra le labbra, troppo profondi per essere svelati, accompagnati dalle scie luminose dipinte nel cielo.

Si sente improvviso e lontano un fragoroso ticchettio di un orologio, sempre più vicino, sempre più martellante, sempre più vicino, sempre più tartassante, fin quando…

Silenzio.

Le membra sono scombussolate, indolenzite, mentre un brivido di piacevole zefiro di fine estate corre rapido lungo la mia colonna vertebrale, le gambe sono parzialmente coperte da una lunga veste in lino appartenente a mia madre, che insolitamente sembra calzarmi alla perfezione. Le ruvide pagine macchiate e ingiallite dal tempo del libro “Delitto e Castigo”, lievemente poggiato sulle mie ginocchia, si ritrovano trapassate dalla fresca atmosfera che aleggia sulla mia figura spossata e anziana, ma incredibilmente serena, godente della amabile percezione di rinascita che si prova nell’assaporare la dinamica staticità della stazione dei treni, osservabile dallo storico terrazzo di casa, trattenente ed evocante ogni singola, lontana memoria, di una vita vissuta e consumata, il cui filo, ormai debole, sta quasi per spezzarsi.

Soavemente lo spirito si ricongiunge al corpo, il cuore riprende le sue solite vibrazioni e le palpebre scoprono gli occhi lucidi dall’emozione, nel preciso momento in cui anche le labbra si schiudono e, rapide e decise, senza esitazione, inumidite da una lacrima che percorre carezzevole la guancia arrossata dai palpiti cardiaci, formulano: “Capalbio”, “Capalbio è il mio posto del cuore”.

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