“Meglio il prezzo che il valore”

di Thea Ceccarelli, II G

«Meglio il prezzo che il valore
E il titolo che il contenuto».
Scrive Wislawa Szymborska.

Sono versi che descrivono la nostra quotidianità, quel reale che si fonda sull’apparenza. In un mondo giudice di un libro dalla sua copertina: siamo indotti ad uniformarci l’un l’altro, ad assumere la parvenza del conforme pur di essere accolti. Per esserci siamo disposti a reprimere l’indubbia unicità del nostro essere.

L’autrice polacca corre contro vento, la sua poetica è una fogliolina verde che balla nell’aria, un pigmento di clorofilla sul grigio dell’asfalto. I suoi versi sono semplici, leggeri, di quella leggerezza che non è superficialità, ma «planare sulle cose dall’alto e non avere macigni sul cuore». Credo che Calvino e la Szymborska siano anime affini, o almeno mi piace immaginarli come tali.

Quando leggo Szymborska ho sempre l’impressione, l’illusione, di comprendere lei, ma al tempo stesso so di essere compresa. Fra noi intercorre una specie di amicizia che ha vita nella mia mente. È la poetessa che preferisco. «Preferisco foglie senza fiori che fiori senza foglie». Afferma in un suo componimento, Possibilità. Non ha senso alcuno ambire all’artificio dell’apparenza, indossare una maschera avvenente; la genuina originalità della foglia arriverà il giorno in cui sbocceranno i fiori.
«Scrivi come se non parlassi mai con te stesso / E ti evitassi».

Racconta in Scrivere un curriculum, lo stesso testo citato in apertura.
«Cos’è necessario?
È necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum».

Vedo una giovane donna seduta davanti ad una macchina da scrivere. Le sue mani sono graziose, sottili, affusolate e battono veloci sui tasti producendo un piatto ticchettio. Tira poi il telaio e trae un sospiro. Lascia che lo sguardo fugga fuori dalla finestra. Osserva quell’imponente pino secolare che pare protendere i propri aghi, mossi dal vento, ad accarezzare la ringhiera di un piccolo balcone dove, su di una seggiola in vimini, un’anziana donna è seduta a cucire.

«A prescindere da quanto si è vissuto
Il curriculum dovrebbe essere breve.
È d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
E ricordi incerti in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati».

Riecheggia il ricordo del profumo legnoso di lui che aveva tanto amato, quella cucina rossa dove i loro respiri si erano fusi in un unico fiato. Il suo cuore batteva forte. Poi, nella stessa cucina rossa aveva versato lacrime salate, ansimando con la testa tra le ginocchia e l’anima in mille pezzi. Ricorda le morbide colline che costituivano la quiete di quel paesaggio in cui era sbocciato e poi caduto, reciso «come un fiore dall’aratro» un giovane amore viscerale.

Riflette sulla laurea in giurisprudenza che aveva gonfiato d’orgoglio il petto del caro papà e della dolce mamma, eppure lasciava inerte e malinconica nello spirito lei. Lei che da sempre desiderava affidare le parole all’inchiostro per vivere, ma che da tempo non viveva più per farlo, che da tempo non viveva più, troppo tempo.

«Onorificenze senza motivazione…
Sorvola su…
cianfrusaglie del passato, amici e sogni».
Ormai cosa rimane delle aspirazioni di quella bambina dagli occhi grandi?
Cos’è quel foglio di carta che sta per inviare?
Non sa in chi o in che cosa la identificheranno.
«Meglio il numero di scarpa,
che non dove va
colui per cui ti scambiano».
Verso dove è diretta?
«Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
È la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che triturano la carta».
La sua vita si è da sempre ridotta all’attesa del momento giusto di agire, momento che non ha
ancora avuto il coraggio di conquistare.
Perché dissolversi in una scrivania sotto altre centinaia di pezzi di carta?

La giovane donna sorride, volta il foglio e lascia che le parole, gracili e influenti ambasciatrici
del pensiero, prendano vita.

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