Identità e differenza

di Stefano Subioli, II G

«In questo nostro tempo da molti governi viene portata avanti una difesa ostinata, quasi tracotante della propria cultura, si cerca il più e possibile di arginare e contenere ogni possibile contaminazione con le altre tradizioni culturali. Le differenze, siano esse linguistiche, religiose, fisiche, vengono viste come dannose e come cause di un necessario ed inevitabile stato di frizione con le tendenze culturali vigenti in quel determinato stato o continente. Tutto questo avviene in un contesto in cui, grazie alla globalizzazione, sono state eliminate le barriere e si sono aperte le porte verso la multiculturalità, verso la creazione di un mondo in cui tutti possano esplicare le proprie infinite potenzialità e possa essere preservata l’identità individuale. Occorre dunque comprendere che questa differenza, lungi dall’essere minacciosa e pericolosa, è vitale, costituisce una delle principali necessità dell’uomo, da cui non possiamo far altro che imparare.  È la differenza che ci rende veramente vivi, umani, che ci contraddistingue del conformismo tipico di popoli che sono resi schiavi o sudditi, costretti a vivere sotto regimi autoritari che fanno della proibizione e della deformazione coscienziale il loro motivo di orgoglio». Emanuele Ristori

La più grande paura dell’uomo che da sempre persiste è la differenza, nonostante sia “l’affermazione più forte e coerente dell’identità umana”. Emanuele Ristori, ex alunno del Giulio e autore della riflessione da cui prende spunto questo scritto, celebra la differenza affermando che ci rende vivi e umani essendo parte di noi stessi; non potrei fare altro che essere concorde con le sue parole. La diversità però in qualche modo si tramuta in una sorta di paura per l’uomo, come d’altronde la storia ci insegna, e quindi questa ricchezza si trasforma in un’opportunità per compiere ingiustizie e efferati crimini contro l’umanità.

Il rifiuto della diversità e di ogni possibile contaminazione di tipo culturale, religioso ed etnico attuato da vari governi, perlomeno quelli europei, è in parte dovuto al retaggio culturale ereditato dal Romanticismo. Questo movimento storico di tipo culturale e sociale invitava ad esaltare la propria identità nazionale in base a tutti gli aspetti in comune che i concittadini di un determinato Paese orgogliosamente condividono, indirizzando verso un sentimento di tipo conservatore e nazionalistico, che teme un possibile futuro, in quanto “nostalgico” e geloso delle proprie tradizioni.

Nella nostra penisola, ricchissima di costumi, tradizioni locali e diversità di ogni genere, vi è un forte rifiuto alla contaminazione culturale, sotto ogni punto di vista. Ciò lo si evince molto facilmente dalla profonda divisione che vi è, ormai da centosessant’anni, tra il Settentrione e il Mezzogiorno. La nostra società ci ha trasmesso consuetudini a dir poco raccapriccianti, come quella del razzismo “silenzioso”, che non si esplicita. Questo tipo di xenofobia può manifestarsi in piccoli comportamenti e abitudini, in pensieri e pregiudizi che possono essere inconsapevoli, in quanto frutto di un retaggio culturale radicato da tempo e insito in noi: ciò può rivelarsi pericoloso, motivo per cui è importante riconoscerlo. È fondamentale la consapevolezza, per evitare di cadere nella trappola dell’ignoranza, che insieme al negazionismo costituisce uno dei più grandi difetti dell’italiano “medio”.

Per avere un quadro generale più chiaro e completo riguardo queste anomalie, mesi fa sui social vennero pubblicati due video che fanno riflettere in maniera sconcertante sulla drammaticità di questi fenomeni. Il primo consiste in un montaggio di varie interviste effettuate a vari adulti italiani chiamati a rispondere alla seguente domanda: “Sei pro o contro i numeri arabi?” Tutti si sono definiti contrari, ignorando il fatto che i numeri arabi siano quelli utilizzati dall’intera cultura occidentale, perché più pratici: l’ignoranza non ci rende padroni di noi stessi. Nel secondo video invece è la negazione a prendere il sopravvento, in quanto buona parte degli intervistati, riguardo al quesito: “Il razzismo esiste o no in Italia?”, risponde in modo assai contraddittorio: non esiste alcun tipo di discriminazione, ma “semplicemente” gli italiani vanno messi al primo posto. Il governo stesso, che rappresentanza il popolo, è promotore di ciò: per esperienza di persone vicine a me con grande rammarico affermo che è scontato il fatto che si sia più propensi a conferire la cittadinanza italiana agli Argentini con remoti antenati italiani e che mai hanno messo piede nella penisola, che a coloro che sono nati in Italia da genitori stranieri, condividendo quindi ogni aspetto della nostra cultura fra cui la lingua.

A causa del timore del diverso, anche gli italiani stessi sono vittime, infatti non si ha alcun tipo di tutela delle lingue minoritarie e dei dialetti, che spesso vengono purtroppo ripudiati e considerati volgari e non come una ricchezza immensa.

Innegabilmente non solo il nostro Paese è affetto dalla xenofobia, ma quest’ultima è radicata quasi fosse parte dell’essere umano, come d’altronde la storia ci insegna. Numerosissimi sono stati i conflitti nel corso della storia causati dall’avversione nei confronti di ciò che è diverso; per esempio un elemento che ha fatto versare innumerevoli litri di sangue: la religione. Basti pensare alle Crociate e alle interminabili persecuzioni, delle quali inizialmente furono i cristiani le vittime, ma poi, ironicamente e tragicamente, una volta preso il potere e grazie alla propria autorità indiscutibile la Chiesa ha causato molte più conflitti di quanto si possa immaginare.

«La storia è un possesso perenne, e da essa non possiamo fare altro che imparare», afferma Tucidide, ma in realtà l’uomo pare incapace di apprendere dal passato. Perfino nei Paesi oggi considerati largamente multietnici (che hanno subito un passato travolgente) l’uomo ancora non ha imparato; in posti come l’Afghanistan, una terra dove convivono da secoli circa dodici etnie, vi è ancora oggi in corso uno dei crimini più efferati che si possano vedere sulla faccia della terra: la pulizia etnica. In questo Paese gli Hazara, un popolo con gli occhi a mandorla e di religione sciita, un tempo costituivano la maggioranza etnica del paese (89%), ma a causa delle continue persecuzioni da parte dei Pashtun, in soli 100 anni la percentuale è giunta al 9%, sono stati quindi sterminati circa trenta milioni di Hazara, un numero da capogiro e spaventoso.

In Paesi con una grande comunità straniera proveniente dalle ex-colonie e quindi presenti da diverse generazioni, come la Francia e la Gran Bretagna, vi è un vero e proprio confinamento sociale, una forte diseguaglianza che determina la più grande carenza della società, ovvero la mancata integrazione delle minoranze. Una dimostrazione di tale confinamento sociale non è difficile percepirla facendo una passeggiata tra il centro di Parigi e le periferie, oltreché a Marsiglia, non lontana dalla esclusiva Aix-en-Provence dove abita o va in vacanza l’élite della società francese, lasciando indietro dimenticati coloro che appartengono a una diversa etnia o background culturale, costretti a vivere nella precarietà e ai limiti della legalità.

Un luogo dove invece non prevale il pregiudizio etnocentrico è l’America Latina, dove la società non fa distinzioni tra i bianchi (discendenti degli europei), “mestizos” (discendenti degli indios, europei e popolazioni autoctone) e i neri (discendenti degli schiavi africani “importati“ nelle Americhe). Nonostante i grandi problemi di natura politica ed economica, lì si assiste a una bellissima e pacifica convivenza tra le etnie; non esiste il razzismo e quelle parole considerate razziste e offensive nella cultura accidentale vengono invece usate in modo affettuoso e amichevole. In Paraguay vi è una armoniosa alternanza di tipo linguistico tra lo spagnolo e il guaraní. In luoghi come l’Indonesia che è immensamente ricca di costumi e tradizioni, si parlano più di settecento lingue, che vengono rigorosamente tutelate dal governo.

Analizzando il successo dell’armonia che vi è nelle nazioni dove la differenza, perlomeno quelle etnica e linguistica, viene celebrata, e i criticismi che vi sono nella nostra penisola, posso affermare che sono perfettamente d’accordo con le parole di Emanuele Ristori sulla bellezza della diversità sotto ogni aspetto.

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