Noi e il mondo che cambia: un incontro con Lucio Caracciolo

di Francesco Parascandolo, III B

Due settimane fa, lunedì 8 maggio, la nostra scuola ha avuto l’onore di ospitare il professor Lucio Caracciolo in occasione di una conferenza in Aula Magna rivolta alle classi terze liceali, dal titolo “Noi e il mondo che cambia”. Lucio Caracciolo, oltre ad essere un giornalista e docente universitario di decennale esperienza nell’ambito delle scienze politiche, è anche il fondatore e attuale direttore della rivista Limes, periodico italiano che è generalmente considerato come la massima autorità in ambito geopolitico. La possibilità di ascoltare una sua lezione e di rivolgere direttamente a lui le nostre domande è stata quindi per noi studenti del terzo liceo un’esperienza di indubbio valore e sicuro arricchimento, soprattutto considerando il periodo di forte instabilità geopolitica in cui il nostro Paese e la società mondiale nel suo complesso si trova, e per questo motivo si è ritenuto utile riassumere e commentare su queste pagine il contenuto della conferenza, in modo che tutta la comunità studentesca possa beneficiare di considerazioni tanto importanti per il nostro futuro.

Come già si può intuire dal titolo che il professore ha dato a questo suo intervento, la conferenza aveva come argomento i cambiamenti geopolitici in atto nel mondo negli ultimi anni e, in particolare, il tipo di reazione che “noi” occidentali abbiamo verso essi. Il presupposto da cui Caracciolo è partito per sviluppare le sue osservazioni, infatti, è che questo periodo storico, da qui a qualche decennio, verrà ricordato e studiato come un periodo di importante cambiamento politico, economico e sociale e questo perché gli Stati Uniti stanno gradualmente perdendo il loro ruolo di potenza egemone.

Caracciolo, come prima cosa, ha analizzato il fattore più vistoso e determinante fra quelli che giocano un ruolo nella definizione di una potenza egemone: la demografia. Infatti, il professore ha fatto notare come, se è vero che, come è noto, la popolazione mondiale tenderà a crescere in futuro, è anche vero che questa crescita avverrà in maniera fortemente diseguale. Mentre nei prossimi decenni Africa e Asia assisteranno a un aumento vertiginoso della propria popolazione, con l’Africa che addirittura raddoppierà il numero dei suoi abitanti, gli Stati Uniti, che allo stato attuale contano circa 340 milioni di cittadini, non supereranno i 400 milioni, finendo così per rappresentare meno del 4% della popolazione mondiale, mentre l’Europa assisterà persino ad un calo demografico. Come ha acutamente osservato il direttore di Limes, un paese che rappresenta meno del 4% della popolazione mondiale non può pensare di imporsi come egemone sul restante 96%, tanto nell’economia quanto nella politica quanto nello stile di vita, e ciò impone per gli Stati Uniti e per l’Occidente tutto un importante cambio di paradigma.

Da dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, barriera che fino ad allora mostrava visivamente la divisione fra blocco americano e blocco sovietico, il mondo è infatti sembrato per almeno un paio di decenni orientato verso un’omogenizzazione, ovvero verso una generale imposizione a livello globale del modello americano: in economia erano gli anni d’oro del neoliberismo, si andava espandendo anche verso paesi molto lontani dall’Occidente il modello politico della democrazia liberale e in tutto il mondo l’american way of life, lo stile di vita americano, sembrava essere il modello a cui ispirarsi. Come abbiamo già visto analizzando i dati demografici, la realtà geopolitica degli ultimi anni smentisce clamorosamente questa previsione di omogeneizzazione: prendendo atto dei dati riguardanti la qualità della vita e le forme di governo dei vari paesi, infatti, Caracciolo osserva che il mondo per come si presenta oggi può essere diviso in due blocchi ben distinti: Ordolandia e Caoslandia.

Come si può facilmente intuire, Ordolandia è quella parte del globo, della quale facciamo fortunosamente parte, che corrisponde all’Occidente e più in generale ai paesi benestanti, con istituzioni solide e una qualità della vita mediamente alta. Caoslandia, d’altra parte, corrisponde all’area tropicale del globo, e si estende dunque dal Centro e Sud America all’Africa al Medio Oriente e all’Asia sud-orientale. Gli stati all’interno di essa sono spesso caratterizzati da istituzioni fragili e da una classe dirigente corrotta, i loro confini spesso non corrispondono alla realtà politica del paese (si pensi ad esempio alla Libia, stato solo de iure, frammentato in realtà in decine di piccoli stati) e il potere è quasi sempre in mano a giunte militari. Tutti questi elementi rendono la cosiddetta Caoslandia il profilo perfetto per diventare terreno di scontro per le grandi potenze, ognuna delle quali vuole imporre il proprio dominio e sfruttare le ingenti risorse che queste terre offrono (si pensi, fra tutte, alle abbondantissime risorse petrolifere del Medio Oriente), attuando su di esse un vero e proprio dominio coloniale.

Una volta individuate le zone nelle quali i conflitti per guadagnare l’egemonia globale si svolgono, Caracciolo si è soffermato ad analizzare i modi e i motivi per i quali le tre principali potenze, ovvero Stati Uniti, Cina e Russia, si stanno combattendo. Partendo dall’antagonismo Stati Uniti-Cina, il professore ha osservato come questi due Stati si stiano affrontando, seppure non direttamente (almeno per ora), per il controllo degli stretti marittimi che collegano l’Oceano Pacifico con l’Oceano Indiano. Gli stretti marittimi hanno un’importanza fondamentale nell’economia globale: il 90% dei traffici commerciali mondiali avviene infatti via mare, e gli stretti marittimi sono i crocevia dai quali tutti questi traffici passano, dunque chi li controlla controlla l’economia. In questo ambito, ovviamente, gioca un ruolo fondamentale lo stato di Taiwan: questa piccola isola è infatti, per la sua posizione geografica, uno di questi fondamentali crocevia, e la Cina reclama da decenni la sua sovranità su di essa, che è però protetta dagli Stati Uniti. Chi riuscirà a garantirsi il controllo di Taiwan, dunque, avrà conquistato un netto vantaggio in questa sfida per l’egemonia, che è per ora assolutamente alla pari.

Dall’altra parte, gli Stati Uniti stanno lottando per difendere la propria egemonia anche contro la Russia, e questo conflitto, stavolta combattuto “a viso aperto”, sta avvenendo in Ucraina. Come acutamente puntualizzato da Caracciolo, infatti, è opportuno chiamare questo conflitto “la guerra in Ucraina” e non “la guerra di Ucraina” perché, anche se chi si combatte sul campo sono fisicamente russi e ucraini, essa è in realtà una guerra fra americani e russi. È stato inoltre notato un aspetto molto interessante di questo conflitto: il professore ha infatti definito il conflitto in Ucraina come “rivelatore geopolitico”, in quanto sta rivelando l’orientamento geopolitico dei vari paesi europei che partecipano in esso sostenendo l’Ucraina. Si è osservato infatti che i paesi dell’Europa centro-orientale, appartenenti fino a qualche decennio fa all’impero sovietico, sono quelli che mostrano atteggiamenti più anti-russi, e vorrebbero che la guerra finisse con la fine della Russia, ovvero con la sua disgregazione in tanti Stati diversi. L’avanguardia di questi paesi è la Polonia, situata geograficamente nel cuore dell’Europa, che nutre una storica ostilità nei confronti dei russi ed è infatti uno dei paesi che ha accolto più rifugiati ucraini e ha inviato più aiuti al paese invaso.

Gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa Occidentale, d’altra parte, sono più disposti ad una coesistenza con la Russia, è il loro obiettivo è solo di diminuirne la potenza, non di annullarla. In particolare, i paesi dell’Europa occidentale hanno nei confronti della Russia atteggiamenti molto variegati e contraddittori: in Germania, ad esempio, vi è una forte differenza di vedute fra Baviera e zone anseatiche ma soprattutto fra Est e Ovest, con l’Est che, per ragioni sia storico-culturali che utilitaristiche (è infatti la parte del paese che è più dipendente dalla Russia per l’approvvigionamento energetico) è molto incline a vedere di buon occhio le ragioni russe. Dopo la tragica esperienza della Seconda Guerra mondiale la Germania è inoltre diventata un paese radicalmente pacifista, una “grande Svizzera”, come loro stessi amano definirsi, e questo fa sì che degli oltre 100 miliardi di fondi per il riarmo, stanziati a tre giorni dall’invasione russa, il governo del Cancelliere Scholz non ne abbia spesi nemmeno un centesimo. D’altra parte, l’Inghilterra si conferma, per ragioni sia culturali che di interesse economico, il braccio destro degli americani in Europa, sostenendo anche nel caso del conflitto in Ucraina gli interessi statunitensi a spada tratta. Per quanto riguarda l’Italia, invece, essa presenta forse ancora più contraddizioni della Germania: il nostro paese è infatti il paese europeo nel quale sono presenti più basi americane in assoluto, ma al contempo abbiamo un rapporto di storica collaborazione e simpatia con la Russia: dai Savoia a Mussolini, dall’Italia primo repubblicana, nella quale la Fiat apriva gli stabilimenti in URSS, ai governi di Berlusconi, amico intimo e fedele di Putin, l’Italia è sempre stata legata alla società e all’economia russa, e ciò rende molto difficile, oltre che sgradito, un allontanamento repentino.

Da ultimo, ma non per importanza, Caracciolo ha parlato delle sanzioni imposte alla Russia dai paesi occidentali, osservando come esse siano state scavalcate dagli stessi paesi occidentali quasi in toto. Il volume di scambi fra Europa e Russia, infatti, è rimasto sostanzialmente invariato, con alcuni paesi, come Belgio e Olanda, che stanno addirittura commerciando di più con la Russia rispetto a prima della guerra. Le sanzioni, inoltre, hanno determinato un infittimento degli scambi commerciali fra Russia e Cina, favorendo un avvicinamento fra le due potenze che sarebbe potenzialmente fatale per l’egemonia americana.

Spostando l’attenzione sulla reazione italiana alle sanzioni, infine, si è osservato come l’Italia, per non rivolgersi alla Russia per quanto riguarda le forniture energetiche, ha infittito notevolmente le importazioni di quest’ultime dall’Algeria. Questo paese nordafricano però, oltre a essere una dittatura al pari di quella russa, ha come principale alleato proprio il paese governato da Putin, che è inoltre il suo primo fornitore proprio di risorse energetiche.

In conclusione, grazie al lucido e dettagliato intervento di Lucio Caracciolo abbiamo osservato che, per un’infinità di fattori, gli Stati Uniti, e con essi l’Occidente intero, stanno man mano perdendo la loro egemonia, e che altre potenze, fino a pochi anni fa secondarie, stanno emergendo velocemente. Tutto ciò dimostra un semplice fatto, chiaro e incontestabile: non possiamo più permetterci di considerare l’Occidente come il centro del mondo e il nostro modello sociale come l’unico possibile e tollerabile, ma dobbiamo imparare a convivere con un mondo multipolare e con modelli di vita anche radicalmente diversi dal nostro. Il blocco atlantico, ad oggi, non sembra in grado di accettare tale realtà, e abbiamo visto che questo rifiuto di cedere la propria egemonia si sta concretizzando in un sempre maggiore rischio di un conflitto aperto fra superpotenze che, data la portata distruttrice dei loro arsenali, minaccerebbe di far finire il mondo come lo conosciamo. Prima si arriverà a questa consapevolezza, prima abbandoneremo il nostro egocentrismo, e meglio sarà, per noi e per tutta l’umanità.

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2 Commenti

  1. Ottimo discorso, semplice e chiaro rivolto a chi guarda il futuro,come i giovani .Lontano dalle solite e inutili narrazioni,che dividono il mondo in buoni e cattivi, spesso falsificando la realtà

  2. Ottimo discorso semplice e chiaro rivolto a chi guarda al futuro ,come i giovani.lontano dalle narrazioni diffuse che dividono semplicemente il mondo in buoni e cattivi, spesso falsificando la realtà

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