SENZA FONDO In memoria di Elena Baruti

Di Andrea Granato

Si era in uno di quei giorni di inizio maggio a Roma; quei giorni caldi, tiepidi, placidi che sembrano non voler finire mai; c’era nell’aria quella festosa luce primaverile che abbraccia tutte le cose e sa d’Eterno.

C’era, nel cortile del mio liceo, sotto la statua di Giulio Cesare, un trionfo di fiori che arrivava fino alle gambe del condottiero: proprio in quei giorni infatti, una studentessa dell’ultimo anno, mentre tornava da una serata trascorsa con amiche, venne investita su via Nomentana, per poi morire neanche due giorni più tardi, dopo un breve coma.

La morte di Elena fu un evento che non coinvolse soltanto i diretti interessati, cioè la famiglia, i suoi professori e compagni di classe ma, in una maniera che ancora non riesco a spiegarmi, interessò e interpellò ogni docente, ogni studente e ogni classe. In quei giorni di lutto era l’intera scuola a essere avvolta in un clima surreale, estraniante: nell’aria si respirava qualcosa che andava molto al di là del normale dolore per la scomparsa di un nostro caro strappatoci in modo violento. Sì, c’era qualcosa di più, mi capite? Qualcosa che superava, che eccedeva la misura del dolore “naturale”.

Qualcosa che mozzava il fiato.

E la parola.

Eravamo immersi in un clima spirituale ben preciso, inconfondibile: non era la morte in sé (ovviamente anche quella), ma il suo carattere improvviso, subitaneo. Come se di punto in bianco scomparisse qualcuno la cui presenza era così certa che non destava più alcuna attenzione o meraviglia. È proprio l’improvviso, tutto ciò che è improvviso, inatteso, imprevisto – sia esso un bene o un male – che, come tale, ci sconvolge. E il tratto peculiare dell’improvviso è il venire-a-mancare del suolo su cui solitamente poggiamo i piedi. Quel terreno che noi – senza pensarci più di tanto – davamo per stabile e solidissimo, all’improvviso viene meno, cede.

E noi cadiamo di sotto. Sotto dove?

Scomparendo quel fondo noi scopriamo che tutto ciò che, nella nostra vita, diamo per scontato è, in verità, un miracolo. È effettivamente qualcosa di straordinario, proprio perché può esserci tolto ad ogni momento.

Ma cosa succedeva intanto a scuola? Tutte le lezioni, gli argomenti, le discussioni franavano. Semplicemente. Si faceva una fatica enorme a parlare, a fare lezione, a fare qualunque cosa. Tutto appariva vano, inutile, superfluo. Che senso ha infatti studiare, imparare, impegnarsi per prendere buoni voti, cercarsi un lavoro, se poi possiamo morire in quel modo così orribile e imprevisto? Perché costruire qualcosa, qualunque cosa!, se poi una tempesta, indifferente ai nostri sforzi e sogni, può, in ogni momento, distruggere in un istante quello per cui da anni lavoravamo?

Queste domande io le ho formulate, ma allora non c’era bisogno di dirle, perché tutti, queste domande, senza dirsele, le sentivano, come io percepisco questa matita con cui scrivo o questo foglio di carta. Ci sentivamo tutti, professori e alunni, spaesati come i bambini quando si smarriscono in un luogo sconosciuto e affollato. E quelle domande rimbombavano silenziosamente nei corridoi, nelle aule, tra i muri.

Eppure io credevo, e credo ancora, che, in questa morte, ci veniva detto, gridato quasi, qualcosa di essenziale per noi: non c’è fondo. Questo è venuta a ricordarci la morte di Elena. Ma non è questa condizione un luogo in cui già da sempre abitiamo? Noi umani non siamo forse già da sempre stretti guancia a guancia con questo abisso senza fondo, anche e soprattutto quando ce ne dimentichiamo?

So che sarebbe offensivo parlare di “lezione”. Non so se, da cristiano, si può credere che Dio permetta la morte di un essere umano, perché altri ne possano trarre frutto per il loro progresso spirituale. Quello che sento è che, in questa tragedia, una Verità sul senso profondo del nostro esistere veniva rivelata e offerta a tutti.

La Vita Vera non fiorisce sempre dal nulla? Non siamo da sempre nudi, inermi e indifesi davanti all’improvviso, all’infinito? E cosa succederebbe se facessimo di questa vicinanza luogo stabile della nostra vita? Vivremmo smarriti e senza parole come in quei giorni?

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