Immagine che ritrae il professor Stefano Vaselli.

In ricordo.

Lettera per il Professor Stefano Vaselli, scritta e condivisa da tutti i suoi studenti.

Caro professore,

questa lettera è per lei, per esprimerle tutto il nostro affetto e gratitudine, anche se non basterà un foglio di carta per spiegare ciò che lei è stato per noi in questi anni. Il resto lo custodiremo nelle nostre menti e nei nostri cuori. Avremmo preferito dirle queste cose a voce, magari davanti ad uno spritz come avrebbe fatto piacere a lei, ma speriamo che le nostre parole le arriveranno comunque, in un modo o nell’altro. “Buonasera a tutti, Zadig sono io, il professor Vaselli”. Così ci si è presentato la prima volta due anni fa, ricorda? L’inizio di una crescita in cui ci ha accompagnato con pazienza, saggezza, ironia e affetto. L’abbiamo sempre chiamata “prof”, ma per noi lei non è mai stato solo questo: un padre, un amico, una guida, un punto di riferimento fisso e incrollabile, su cui sempre potevamo contare. Una vera e propria ispirazione. Ci ha insegnato a lottare con determinazione per i nostri ideali, perché questo è quello che faceva lei: un guerriero che non si è mai stancato di lottare nonostante tutto, nonostante le ingiustizie di questa realtà che ci circonda, nonostante le criticità che lei sapeva sempre notare e commentare con arguzia. Perché sì, lei aveva sempre una parola buona per tutto e per tutti: detestava il nostro sistema scolastico, la retorica meritocratica, l’ansia da prestazione e la competitività tra studenti, detestava etichettarci attraverso insignificanti voti numerici, e soprattutto detestava l’approccio storicista figlio di Benedetto Croce, il “nanetto” come lo chiamava lei. Non poteva sopportare i mezzi atac, che tuttavia continuava a prendere ostinato ogni mattina e ogni pomeriggio, riuscendo non si sa come a trovare sempre posto a sedere anche quando erano stracolmi. Ci raccontava dei discorsi che sentiva durante questi viaggi della speranza verso scuola e che non poteva sopportare, come non sopportava il doversi fare spazio all’uscita tra noi ragazzi, “quella massa di carne e sudore”, come diceva lei. Ma in realtà le sue non erano mai noiose lamentele: dimostravano invece la sua attenzione nell’osservare ciò che ci circonda, la sua profonda capacità di introspezione, e soprattutto, un po’ come Leopardi, guardava agli aspetti negativi di questo mondo solo perché era troppo attaccato ad esso. Un mondo per il quale si è battuto, in primis scegliendo la via dell’insegnamento: lei a differenza di molti altri ha continuato a credere in noi ragazzi, non si è arreso di fronte alla nostra irrequietezza, alla nostra instabilità, perché, anche se ogni volta che entrava in classe diceva di sentire “puzza di ignoranza”, ha intuito e creduto sempre nelle potenzialità di ciascuno di noi, rispettandone la diversità come ricchezza. Ci ha insegnato a coltivare i nostri talenti, ad essere consapevoli delle nostre scelte e di chi siamo realmente, e a non vergognarci di questo; ci ha insegnato a non identificare noi stessi con le nostre sconfitte, perché siamo sicuramente qualcosa di più. Di certo non aveva peli sulla lingua, non esitava mai a dire ad alta voce anche le affermazioni più scomode, come non esitava a manifestare il suo netto pensiero politico. Lo faceva anche durante le lezioni, trasformando gli argomenti di storia e filosofia in spunti sul nostro presente, anche se talvolta non riuscivamo a seguire le sue divagazioni, e le sue lezioni erano sempre una sorpresa.

Ma, caro Stefano, quello che sicuramente ricorderemo più di lei è la sua ironia così affilata, così arguta e piccante, ma allo stesso tempo così divertente, che spezzava la monotonia di quelle sei lunghe ore di scuola. Un’ironia sarcastica che non diventava mai offensiva, e che del resto diceva verità che spesso noi non vedevamo o non volevamo vedere. Se ci vedesse in questo momento, probabilmente troverebbe qualcosa su cui prenderci in giro e ci correggerebbe questa lettera dalla prima all’ultima parola; la sua non è mai stata superficialità, ma la leggerezza di guardare le cose dall’alto. Nonostante le sue frecciatine e le sue prese in giro, nonostante le diverse idee, tutti ci siamo affezionati a lei, tutti siamo finiti per adorarla come nessun’altro.

Lei ha saputo rompere quel freddo muro che troppo spesso si instaura tra professore e alunni, conquistandosi la nostra fiducia e soprattutto il nostro rispetto. Ci ha trasmesso la sua brillante e invidiabile conoscenza sempre in modo autorevole, ma mai autoritario, è riuscito a risvegliare il nostro interesse anche per gli argomenti più lontani da noi, a mettere il nostro pensiero in movimento. Lei che trovava conforto nella sua filosofia e risposte nella storia, compagne che lo hanno accompagnato per così tanti anni, ricchezze che ha custodito e tramandato a noi, anche se attraverso i suoi metodi “vaselliani”. Ci ha spesso interrogato riguardo quesiti filosofici complessi che la intrigavano, ma ora vorremmo essere noi ad interrogarla per sapere come poter affrontare questo immenso dolore. Lei, un uomo così colto che usava come arma la propria conoscenza, sempre con eleganza e mai con arroganza o presunzione. Un vero e proprio filosofo lei, con la coppola e la sciarpetta scozzese che sono sempre stati i suoi tratti distintivi, e da cui traspariva il suo modo di essere e di vivere: essenziale, ma con classe. Ciò che abbiamo sentito da lei è che ci ha voluto bene. A modo suo, certo, ma noi lo sappiamo che in fondo in fondo, Zadig, lei ci ha sempre voluto bene. Lo sappiamo dal suo sguardo che sembrava scavarci dentro, perché già sapeva che qualcosa non andava, dal suo sguardo silente che ci faceva capire che lei era lì per noi. Sarà difficile, Stefano, tornare a scuola senza di lei, camminare in quel corridoio dove l’abbiamo vista l’ultima volta quando ci ha beccato mentre chiacchieravamo fuori dalla classe, e ci ha detto con il suo solito tono scherzoso, ma serio, di tornare dentro, anche se sappiamo tutti che anche lei avrebbe preferito rimanere lì con noi piuttosto che andare a fare lezione. Non si è mai arrabbiato con noi, mai ha provato rancore. Sarà difficile proseguire questo cammino senza il nostro mentore: faremmo di tutto pur di avere un ultimo suo insegnamento, un’ultima sua battuta, un ultimo suo saluto. Avremo forse la sensazione che la storia e la filosofia non meritino di essere spiegate se non da lei, ma non è questo che lei vorrebbe. Le saremo sempre grati e riconoscenti, perché quello che siamo diventati noi oggi è anche grazie a lei. Custodiremo la sua saggezza, che ci ha dato le ali per volare, ora tocca a noi spiccare il volo: non lasceremo, Stefano, che la bellezza che ci ha trasmesso venga persa, che i semi che ha piantato non portino dei frutti, perché ora abbiamo noi l’onore e l’onere di portare agli altri la ricchezza che lei ha regalato a noi, e lo faremo seguendo le sue impronte che hanno lasciato un segno indelebile. Quello che è successo non è inconcepibile, ma inspiegabile. L’importante è non lasciare che questo dolore sia sterile e fine a sé stesso, non cadere nella disperazione, ma guardare avanti con gratitudine piuttosto che con nostalgia: gratitudine per il tempo che abbiamo potuto passare insieme, Zadig, per questa parte di cammino in cui abbiamo avuto la fortuna di essere accompagnati da lei, che ha saputo coinvolgere tutti e ciascuno di noi. “Vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo”: ce lo aveva insegnato lei studiando Sant’Agostino, ed è quello che faremo, perché grazie a lei abbiamo imparato a dare il giusto valore al tempo. Il nostro farmacon sarà proprio la filosofia che, come stavamo studiando insieme, non pretende di dire come le cose devono andare, ma può spiegarne il senso; e la storia che è magistra vitae, che ci svela il passato per parlarci del presente, un passato vivo che può parlarci oggi e per sempre. Perché, come scriveva un grande uomo e filosofo nel suo stato Whatsapp: “Il passato non è mai morto. Non è nemmeno passato”.

Rimarrai nei nostri cuori Zadig. Ti vogliamo bene.

I tuoi studenti

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