La città invisibile

Flavia Romaniello, ID

Le acque scroscianti che si rompevano sul marmo. I fiori profumati che sbocciavano sui balconi durante tutti i periodi dell’anno. I tenui colori dei palazzi e le bianche architetture antiche. I negozi di lusso che costeggiavano la grande fontana bianca centrale. Di giorno si potevano udire in lontananza le campane della messa mattutina e gli ululati di cani e le voci dei bambini che risuonavano nel grande spiazzo. Un enorme senso di soddisfazione assaliva ogni persona che si garantiva un assaggio del gelato della bancarella all’angolo. Abbassando lo sguardo, si ammiravano le creazioni di alcuni artisti di strada. Alzando lo sguardo, era impossibile non vedere il blu di un cielo così limpido che faceva credere che quella pace, trasmessa dal clima mite, non potesse mai svanire. La notte era costellata dalle luci dei locali che sembravano stelle riflesse nelle acque della fontana. E chi beveva per rimorchiare, chi beveva per bere. Chi non beveva erano solo quelli che vendevano alcool a chi beveva, spesso adolescenti. Qui gli adolescenti si sentivano adulti che avevano il controllo sul mondo, e gli adulti si sentivano adolescenti alle prime armi con i loro amori. Gli outfit da sera scintillanti illuminavano le strade più delle stelle, e riecheggiava il suono di tacchi sui sanpietrini. Nessuno giudicava mai nessuno, troppo accecati dalle luci per farlo. E non mancava il terribile vino bianco dei ristoranti spacciato per champagne, ma non ci si prestava neanche caso, perché subito catturati dalla vista affascinante dell’enorme piazza, così bella da restare senza più aria nei polmoni.

I suoni in lontananza dei clacson sulla strada. I volti divertiti delle persone arrossati dall’alcool. Tutti qui erano stati qualcun altro prima. L’aria fresca faceva sventolare i capelli lunghi delle ragazze che si lamentavano di averli appiccicati sul lipgloss. Da un lato della piazza chi poteva permetterselo era seduto al tavolo a cena con il proprio accompagnatore, una rosa al centro e un paio di candele. Le impronte di rossetto lasciate sui bicchieri ai ristoranti facevano imprecare ogni cameriere che poi doveva lavarle via. Chi aveva massimo 5 euro in tasca solitamente sedeva sulle imponenti scale al lato opposto, accanto agli spacciatori, con una canna in una mano e una lattina di birra nell’altra. Si respirava un’aria estremamente romantica la notte, ma anche pericolosa. Sentivi che tutto poteva accadere in ogni momento.

Il mattino successivo le madri avrebbero accompagnato i figli a prendere un gelato, e si sarebbero lamentate delle bottiglie di vetro che rischiavano di tagliare le zampette dei cani portati a passeggio. Questa gente non sapeva nulla di ciò che succedeva lì quando il sole calava e la luna sorgeva. Tutti ignoravano quello che accadeva, e tutti proseguivano le loro vite facendo finta di nulla. Era un magnifico ciclo che si ripeteva ogni notte e ogni giorno. Era come un equilibrio naturale, e così doveva restare.

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