Echi dal passato

Incontro con Dacia Maraini, l’autrice di Vita mia

A cura degli studenti del PCTO Bibliopoint: Valerio Celestini, Cristian Luce, Raffaella Rosa,
Carlotta Runci

Avete mai pensato alla vita di una bambina in un campo di concentramento? Anche se la sua
apparenza serena potrebbe fuorviare, Dacia Maraini quell’esperienza l’ha vissuta.
Se n’è parlato il 18 marzo nella nostra biblioteca “Beatrice Costanzo”, durante la presentazione del
romanzo autobiografico Vita mia, un’opera che cattura l’attenzione del lettore e lo coinvolge
emotivamente e spiritualmente.
Durante l’incontro tutti i presenti hanno avuto l’occasione di ascoltare la testimonianza di questa
donna, non solo autrice di romanzi, ma anche saggista e poetessa tra le più importanti della
letteratura italiana contemporanea.
Nonostante la popolarità raggiunta grazie anche ai premi letterari vinti, come lo Strega nel 1999,
ancora oggi la scrittrice nel raccontare la sua infanzia fa molta fatica, dal momento che nessuno può
liberarsi totalmente del passato. Ciò che ha subìto Dacia Maraini, quando aveva solo 6 anni di età, è
un’esperienza indelebile, una cicatrice impossibile da eliminare.
La scrittrice ha raccontato vari episodi ambientati in un campo di concentramento giapponese dai
quali emerge una vita precaria dominata dalla sofferenza e dalla fame. I guardiani del campo,
infatti, rivendevano il cibo, destinato ai prigionieri, privandoli della maggior parte del
sostentamento e costringendoli a cibarsi di insetti e scarti alimentari.
In questo contesto l’unico momento in cui l’autrice dichiara di essersi distratta dall’urgenza della
fame e dal pensiero della morte è stato quello della “scuola sotto il ciliegio”, quando poteva
apprendere la matematica e la letteratura dagli insegnamenti dei genitori.
La Maraini, nell’esporre l’opera ai presenti, ha raccontato di aver avuto un’altra significativa
lezione, questa volta di vita: la madre, infatti, di fronte alla possibilità di rimanere libera rinnegando
il proprio credo e i propri valori ed aderendo alla Repubblica fascista di Salò, rifiutò di firmare
l’atto di adesione, dimostrando alla figlia il valore della dignità e del coraggio.
In un tale quadro una bambina, anziché giocare e imparare a conoscere il mondo, si è dovuta
adattare a situazioni disumane e crudeli, ha avuto incertezze sul suo futuro, ha pensato alla morte
temendo in maniera ricorrente che le venisse addirittura tagliata la gola. Come può una bambina
pensare queste cose? Forse nemmeno era consapevole della sua condizione? O forse siamo noi
abituati ad una vita talmente agiata da non poter neppure immaginare paure così grandi? Sono
probabilmente valide entrambe le ipotesi. La crudezza della situazione ha dato vita ad una
percezione distorta della realtà, quasi a difesa dell’io da una verità troppo scioccante.
Che dire riguardo alla scrittura? Essa è molto coinvolgente e ciò sicuramente è un notevole punto di
forza, dato che il libro affronta temi importanti come l’amore e la ricerca della propria identità.
L’opera deve essere assaporata con diletto e passione poiché dà dei grandi insegnamenti su come
affrontare la vita, capirne il vero significato ed individuare i valori che ognuno di noi dovrebbe
avere e rispettare.
La scrittrice ci racconta con gli occhi di una bambina gli orrori che possono essere prodotti da
razzismo e discriminazione etnica e religiosa, ma allo stesso tempo disegna un mondo di speranza
nel quale non bisogna arrendersi alle difficoltà e alle privazioni anche se grandi e difficili da
superare.
L’esperienza che l’autrice vuole condividere, il percorso di vita che vuole raccontare, deve essere
un monito per la nostra e per le future generazioni. È fondamentale includere il prossimo e
rispettare il suo percorso di vita a prescindere dall’etnia e dalla religione.

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