Oltre uno sguardo, Progetto Tenda

  • Di Stella Domenicucci
  • 17 Ottobre 2022
  • 2 Commenti

di Maria Stella Domenicucci, 2B

Quasi tutti hanno avuto un angolo di dolore segreto, condiviso con nessuno”.
Così disse una volta John Steinbeck.

Ho sempre provato un certo interesse nell’incrociare i volti fugaci dei passanti, immaginando la loro quotidianità, i loro trascorsi, i loro scheletri nell’armadio. E quest’estate, nella monumentalità di Torino, di volti ne ho visti tanti, ciascuno con una storia diversa da raccontare. In particolare, ho avuto modo di andare “oltre lo sguardo” di alcuni grazie a Progetto Tenda, una cooperativa sociale nata nel 1999 con l’obiettivo di occuparsi dell’inserimento nella nostra società di immigrati, rifugiati, donne sole, mamme con bambino, famiglie in difficoltà, donne e uomini senza dimora.

La cooperativa, in generale, mira all’accoglienza e all’inclusione di persone fragili ed emarginate, creando contesti in cui ognuna di queste possa trovare il suo posto e riacquistare la propria autonomia economica e la propria identità sociale. Nello specifico, ho avuto modo di trascorrere un giorno in una delle loro sedi, dove risiedevano tre donne nigeriane con molti “angoli di dolore segreto, condivisi con nessuno”.

Le loro storie andavano ben oltre l’immaginabile e hanno lasciato nella mia mente l’amarezza di una terribile impotenza. Erano storie di ragazze tradite talvolta dai loro stessi familiari, vendute con l’inganno di una vita migliore, condotte in Italia e condannate alla prostituzione per risarcire cifre esorbitanti di debiti. Ragazze che, in un continente del tutto sconosciuto, senza nessuno a cui appoggiarsi o con cui lottare, hanno trovato da sole la forza di ribellarsi e chiedere aiuto. E grazie a Progetto Tenda hanno scelto di voltare pagina e ripartire da zero. L’incontro con questi volontari è stato catartico, mi ha fatto sentire propria di una realtà del tutto diversa dalla loro e forse un po’ più misera.

Superficialmente, credevo che il progetto agisse indirettamente nelle vite di queste persone, curandole da lontano. Ma quando sono stata accolta all’interno dell’edificio, con un calore raro e informale, mi sono resa conto che il rapporto tra quelle donne e le assistenti era quasi di sorellanza. Si condividevano momenti di comunità come all’interno di una vera e propria famiglia, a partire dai pasti fino al racconto dei loro trascorsi (per costruire il futuro di queste persone, si agisce anche sul loro passato, lavorando sui traumi e permettendo il superamento di questi grazie al servizio I.magine). Le volontarie dedicavano la loro intera quotidianità al soccorso e all’ascolto.

E i progetti da loro realizzati non sono meramente inclusivi, ma anche sensibili all’istruzione e alla qualificazione professionale, con l’obiettivo di rendere possibile l’inserimento lavorativo.

In un contesto storico come questo , omologatore e nemico delle diversità, gli sguardi di quelle donne sono riusciti a trasmettermi la speranza di un mondo migliore, teso all’inclusione, al progresso. Ed è stato rincuorante vedere che, per persone con passati così ingiustamente tormentati, esistano altrettante persone concretamente disposte a mostrare solidarietà e a dare la forza per un nuovo inizio.

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2 Commenti

  1. Bellissimo articolo e ancora più bello che esistano iniziative di questo tipo. Complimenti Stella per aver portato all’attenzione di tutti questo progetto e per aver condiviso la tua esperienza, spero di leggere altri articoli scritti così bene.

  2. Bravissima Stella la tua esperienza.l’hai raccontata in modo semplice e piena d’umanità che trasmetti a chi lo legge ..complimenti a te e a quelle persone che si dedicano agli altri che sono in difficoltà BUON LAVORO

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