Alfredo Cospito e il 41 bis: quando la pena diventa vendetta

Daniele Giannoni, IIF

Uno dei temi più caldi nel dibattito pubblico delle ultime settimane è certamente quello scaturito dalla vicenda di Alfredo Cospito, anarchico rinchiuso al 41 bis e in sciopero della fame da più di 100 giorni. Le minacce e le proteste, talvolta violente, che sono state messe in atto per sostenere la sua causa, hanno generato un clima di tensione, certamente alimentato, oltre che dagli stessi estremisti “anarchici informali” non estranei a forme inaccettabili di violenza, anche da alcuni giornalisti e politici, che ha distratto dal tema centrale: cerchiamo dunque di fare chiarezza.

Alfredo Cospito è un anarchico insurrezionalista, appartenente alla FAI (Federazione Anarchica Informale); si trova in carcere da più di dieci anni per aver posizionato due bombe artigianali in un cassonetto presso la scuola allievi carabinieri di Fossano nella notte del 2 giugno 2006, senza causare morti né feriti, e per aver “gambizzato” (una odiosa prassi criminali consistente nello sparare a tutte e due le gambe della vittima con una pistola) Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, nel 2012.

La Corte di Cassazione ha recentemente chiesto per Cospito la condanna all’ergastolo ostativo, che si differenzia dal tipico ergastolo, in quanto non prevede alcuno sconto di pena, non per il reato di strage semplice, ma per quello di strage politica, uno dei reati più gravi del codice penale. Per dare un’idea, non furono considerate stragi politiche nemmeno le stragi di Capaci e di via d’Amelio, che uccisero Falcone e Borsellino, né quelle di piazza Fontana a Milano e della stazione di Bologna, che causarono, rispettivamente, 17 morti e 88 feriti gravi ed invalidi la prima, 85 morti (alcuni i cui corpi non vennero mai ricostruiti) e più di 200 feriti gravi. Ad aprile scorso, la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha, inoltre, firmato la relegazione di Cospito al 41 bis, il regime carcerario più duro del nostro ordinamento penitenziario.

Il 41 bis viene istituito all’inizio degli anni ‘90, quando la mafia, nel suo periodo stragista, continua a colpire politici, componenti delle forze dell’ordine e magistrati, e ad infiltrarsi ovunque. I boss mafiosi catturati continuavano a dirigere Cosa Nostra anche dal carcere: per costoro c’era dunque bisogno di una misura straordinaria. Con il 41 bis, si sanciva (o si tentava di sancire) la loro relegazione in celle ristrette, spesso sotto il livello del mare e dunque senza finestre, in totale isolamento rispetto agli altri detenuti, con soltanto 2 ore d’aria da trascorrere in solitudine e con una forte limitazione dei colloqui, oltre all’impossibilità di accedere a libri, periodici di ogni tipo e mezzi di informazione come la TV o internet. Negli anni, la misura straordinaria diventò la norma, e il 41 bis venne mantenuto e imposto anche ai terroristi.

Oggi il dibattito è doppio: da una parte quello sulla legittimità della misura del 41 bis, dall’altra quello sulla legittimità del 41 bis per Alfredo Cospito. Che il 41 bis abbia funzionato per impedire ai boss mafiosi di continuare a comandare anche dal carcere, è un dato di fatto incontestabile. Ci si può, tuttavia, interrogare prima di tutto sull’attualità di una misura che è stata istituita straordinariamente in un periodo storico in cui la mafia era più potente rispetto ad ora o comunque più aggressiva, ma soprattutto sull’umanità di questo regime carcerario e sul suo utilizzo in alcuni casi specifici.

Nel 1995 il Consiglio d’Europa ha stabilito che “La durata prolungata delle restrizioni del 41 bis provocava effetti dannosi che si traducevano in alterazioni delle facoltà sociali e mentali, spesso irreversibili”. Nel 1993 la Corte Costituzionale considerava i trattamenti penali del 41 bis “contrari al senso di umanità e non ispirati a finalità rieducativa”, quando quest’ultima dovrebbe essere uno degli obiettivi cardine del carcere secondo la nostra Costituzione, che all’articolo 27 recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

È necessario mettere da parte il desiderio di vendetta verso chi compie un crimine, anche se grave, e ricordare che anche il peggior mafioso ha diritto ad un tentativo di riabilitazione, che, se non è all’interno della società, deve essere almeno personale e interiore, e questa possibilità il 41 bis non la fornisce. L’attuale utilità di questo regime carcerario può essere dibattuta e sostenuta, tuttavia è fondamentale tenere a mente una cosa: se mantenuto, il 41 bis deve rimanere ciò per cui è stato concepito, ossia uno strumento volto a impedire che il criminale possa dare ordini alla sua organizzazione dal carcere, ma non deve assolutamente diventare un’insensata ed estrema punizione, una vendetta dello Stato, e, tornando al caso Cospito, l’impressione è che ci si sia dimenticati proprio di questo.

La FAI, l’organizzazione di cui fa parte Cospito, ha tra i suoi principi fondamentali l’orizzontalità, l’individualismo (tipico degli anarchici sin dal XIX secolo, uno dei motivi dello scontro tra Marx e Bakunin) e l’uguaglianza tra tutti i militanti: è dunque altamente illogico anche solo pensare che egli possa impartire ordini ai suoi “compagni” proprio per la struttura della sua organizzazione, totalmente diversa rispetto a quella mafiosa, nettamente gerarchizzata e costituita da capi che prendono le decisioni. Inoltre, ciò che rende utile il 41 bis per i mafiosi, è il fatto che questi hanno sempre avuto fitte reti di comunicazione all’interno delle carceri, grazie alla frequente corruzione delle guardie penitenziarie e alla grande presenza di detenuti legati alla mafia o facilmente avvicinabili da essa. Il potere delle organizzazioni anarchiche all’interno delle carceri, in paragone a quello della mafia, è invece totalmente nullo. Se, dunque, ipoteticamente Cospito volesse impartire ordini dalla sua cella, comunque sarebbe per lui estremamente difficile. A dimostrazione di tutto ciò, c’è il fatto che la firma per il 41 bis a Cospito è arrivata non in seguito a intercettazioni di ordini impartiti di nascosto (come avviene con i mafiosi), ma in seguito a dichiarazioni pubbliche rilasciate a riviste e radio anarchiche, che, se giudicate pericolose, potevano benissimo essere bloccate con una semplice censura, senza ricorrere al 41 bis. In quest’ottica, è possibile rilevare come quella che sta subendo Cospito sia una potenziale ingiustizia consistente in un eccesso di zelo repressivo e nell’abuso di una misura che dovrebbe colpire soggetti realmente pericolosi anche dal carcere, e non detenuti che, per quanto colpevoli di gravi reati, sono ritenuti una minaccia soltanto per il loro pensiero politico.

Alfredo Cospito ha attualmente superato il 115esimo giorno di sciopero della fame, ha ormai perso quasi 50 chili e procede lentamente verso la morte, che, a detta dei medici, potrebbe sopraggiungere per crisi cardiaca o edema cerebrale. Egli continua ad essere rinchiuso nella sua cella da 2×3 metri, senza un giornale né un libro, privato addirittura del quadernino su cui appuntava i suoi pensieri, con l’unica fotografia che gli è stata permesso di appendere al muro, quella dei genitori defunti. Intanto giornalisti e politici etichettano come “terrorista” chiunque osi sostenere, in piazza o con le parole, la lotta portata avanti da Cospito contro il 41 bis. Inoltre il 23 gennaio, con una nota ufficiale, il ministero di Grazia e Giustizia ha pubblicamente deciso di limitare la libertà di espressione del medico curante di Cospito, diffidandola (è una dottoressa) dal rilasciare dichiarazioni sulle condizioni di salute del suo assistito all’emittente indipendente Radio Onda d’Urto.

È importante ribadire che non sono solo gli anarchici a sostenere questa battaglia e che a mobilitarsi in questi giorni sono stati anche studenti, attivisti, intellettuali e giuristi (lo stesso avvocato di Roberto Adinolfi, l’uomo gambizzato da Cospito, si è dichiarato contrario al 41 bis per il militante anarchico). In molti, nel recente dibattito pubblico, si stanno facendo catturare da una retorica che sin dai tempi del caso di Enzo Tortora venne giustamente etichettata con il termine “giustizialista”, e sicuramente vendicativa. Una “Logica” che vuole che Cospito, in quanto criminale (chi può dubitarne?), venga trattato con la massima severità; è evidente che i suoi crimini siano gravi e che egli debba rimanere in carcere, tuttavia è inaccettabile che subisca lo stesso trattamento di un mafioso come Matteo Messina Denaro, colpevole di decine di omicidi tra cui lo scioglimento nell’acido del dodicenne Giuseppe Di Matteo o che addirittura venga a trovarsi in condizioni di sofferenza maggiori di terroristi come gli uccisori di Aldo Moro (brigatisti rossi) che mai conobbero il 41 bis, o dei responsabili del più grave attentato terroristico della storia italiana, la strage di Bologna del 2 Agosto 1980. La lotta che vuole Alfredo Cospito fuori dal 41 bis è una lotta per una giustizia in cui la pena è proporzionata al reato, in cui non si viene trattati in maniera diversa a causa del proprio credo politico e in cui il carcere non è una mera punizione, ma un’occasione di riscatto[i].


[i] Al momento in cui viene scritto questo articolo è di pubblico dominio la notizia per cui la Procura Generale della Suprema Corte di Cassazione avrebbe fatto ufficiale richiesta di eliminare l’applicazione del dispositivo di pena del 41-bis per Alfredo Cospito. Si attende per il 24 Febbraio p.v. il verdetto della Suprema Corte.

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