CANZONIERE della classe 1I

Caspar David Friedrich, Donna al tramonto del sole, 1818

MATILDE DAMIANI, Un ultimo istante

MATILDE DAMIANI, Un ultimo istante

Abbracciami e dimmi che non mi ami,

spezzami in cuore,

ma non chiedermi scusa:

Non dirmi una bugia che non merito,

racchiudi nel tuo addio tutto il nostro amore,

Non permettere che finisca tutto in silenzio,

consentimi di custodire ancora una parte di te,

fammi sentire speciale per un ultimo minuto,

Non ti abbandonare al rimpianto,

sii sicuro di lasciarmi andare via per sempre.

Suggella il nostro patto d’amore con questo ultimo gesto,

sorridimi e lasciami andare consapevole della tua scelta,

amandomi fino all’ultimo istante.

VIOLA CIAMMAGLICHELLA, Primavera

Primavera quanto t’ho aspettata

Per tutto l’inverno ti ho sognata,

sei una musa ispiratrice,

lenisci sempre ogni cicatrice.

In testa mia dipingerti vorrei

e se fossi qui ti riconoscerei;

seduta, io ti penso mentre noto

un papavero di un rosso intenso.

La terra mi porge tesori come:

fiori, colori, amori, sapori.

Mandi via ogni forma di apatia.

Tu l’aria ripulisci e mi metti

il buon umore, mentre la città

si libera dall’orrido grigiore.

CHIARA MARCONATO

Sono sull’amaca, nel mio giardino. Il vento mi sposta dolcemente i capelli dal viso e il sole brucia con una delicatezza primaverile sulla mia pelle ancora chiara. Intorno a me non c’è nessuno e la mia mente fa viaggi infiniti. Ascolto gli uccellini cinguettare e le cicale frinire. Creano quell’atmosfera che da un anno non sentivo più. Sento le preoccupazioni che ogni giorno riempiono la mia mente allontanarsi e pian piano volare via. Una farfalla si posa sui fiori poco distanti da me, si ferma, poi batte le ali e spicca di nuovo il volo. Mi trasmette pace, serenità. Il sole inizia a calare, il vento dondola un poco di più la mia amaca. Una voce mi fa tornare con i piedi per terra. È mia madre che mi chiama per aiutarla a preparare la cena. Mi alzo un po’ stordita, avevo iniziato un viaggio che speravo non finisse mai. Tuttavia non importa, d’ora in poi, ancora per qualche mese, ogni giorno potrò viaggiare chiudendo gli occhi anche solo per dieci minuti. Mi sento più libera. È arrivata quella stagione che ogni anno mi porta spensieratezza. È arrivata la primavera.

MIRIAM DI TUCCI, Il mio infinito

Ammirando le onde

frangersi sugli scogli,

vari pensieri

spaziano nella mia mente.

L’immenso mare

tinto dal colore della sera,

molto affabile appare.

Il sole nasconde il fondale

riflesso sulle acque scosse,

il canto degli uccelli

accompagna il movimento delle maree

e il vento

culla il mio corpo

nella quiete del mio infinito.

CLAUDIA SANTIROCCHI, La timidezza

La timidezza,

colei che limita il mio agire

costringendomi a patire.

Appare innocua agli occhi altrui,

che non conoscono costei.

Ahimè io ci convivo da anni ormai

eppure Lei di me non si stanca mai.

Preferirei che mi odiasse

al fin che da me si allontanasse.

Lei mi fa tacere laddove vorrei parlare,

mi tiene ferma mentre vorrei scalpitare.

Qualora un giorno mi dovesse abbandonare,

sarei felice di recuperare

tutto ciò che Lei stessa mi ha impedito di fare.

ALESSIA TANA, Posto sicuro

Vorrei disegnare una finestra su un foglio,

che mi porti in un altro mondo quando voglio,

lontano dai pensieri quando vi affondo.

Una finestra che affacci su paesaggi spettacolari

in un mondo senza calendari.

Una finestra disegnata da portare sempre con me

da usare ogni volta che mi sento incompresa,

ogni volta che provo a stare a galla e mi sento in catena,

non riesco e respiro a malapena.

E sai, quella finestra forse l’ho trovata

ed è la Musica, lei non mi ha mai lasciata,

lei mi dice tutto ciò che vuole,

questo è il mio posto sicuro e non provo più dolore.

SOFIA D’ADDIO, CARLOTTA FABBRI

Un’orma e poi ancora un’altra. Così il mio andare procede a passi ora rilenti ora spediti, mentre la suola delle mie scarpe sprofonda nel terreno sabbioso di questo luogo desolato. D’ improvviso si alza una folata di vento, trascinando con sé piccoli granuli di sabbia che sfiorano la mia pelle. Rabbrividisco, socchiudo gli occhi.

Ne percepisco l’odore.

Ne sento la consistenza.

Il sussurrio.

Inquieto alzo le palpebre, osservo il muoversi del vento. Fili d’aria, spirali si intrecciano su sé stessi in un movimento continuo e incessante.

In questo flusso tutto scorre inevitabilmente: l’aria, la sabbia, il tempo.

Affiorano alla memoria esperienze e sensazioni di un passato esaurito, storie di uomini come me, che ormai non hanno più voce. Mi sembra di star calando nell’intimo dell’essere di qualcun altro. In questo preciso istante la sfera della memoria si innalza al di sopra del mio capo, estendendosi fino a ricoprire gran parte del cielo.

Eppure tutto si rivela essere evanescente, sfuggendomi di mano.

Allora ripongo lo sguardo verso l’orizzonte, rimettendomi in cammino.

Un passo dopo l’altro, tutto ritorna ad essere monotono. Talvolta mi sembra che siano trascorsi interminabili anni, talvolta brevi istanti. Ormai ho lasciato migliaia di orme sulla sabbia cocente.

Non percepisco fatica, quantomeno non fisica.

Dune dalle sfumature d’oro incorniciano questo luogo, la cui immensità mi disorienta. Non essendo in potere di agire in altro modo, vacillo senza direzione.

Con la vista ormai cadente, in un impeto di fervore, mi guardo intorno. Improvvisamente tutto si illumina: intravedo una traccia. Dei solchi.

Un brivido scuote le mie membra.

Mi travolge un infantile entusiasmo.

Inciampo, cado nella sabbia che credevo rovente. Mi rialzo con il respiro affannato. Le orme che vedo sono di un essere umano.

Allora i sentimenti e la solitudine hanno la meglio sul mio buonsenso: inizio a seguire le tracce con foga.

Sembrano interminabili.

Accelero il passo.

Emetto profondi respiri, eppure non riesco a riprendere il fiato.

Le gocce di sudore mi rigano il volto.

Ho i muscoli tesi.

Le labbra secche.

Le ossa logorate.

Espiro.

Sollevando lo sguardo, intravedo ciò per cui ho tanto vagato: vi è un altro uomo poco distante da me.

Come in un impeto di estasi cerco disperatamente di attirare la sua attenzione su di me. Provo a lanciare un grido speranzoso, ma noto un dettaglio raccapricciante.

Mi si è rotta la voce.

Mi sembra che i miei passi siano diventati improvvisamente leggeri, quasi nulli.

Sollevo lo sguardo e rimango terrorizzato: in lontananza i segni delle mie orme impressi nella sabbia svaniscono uno dopo l’altro fino a non lasciare più alcuna traccia.

 In quello stesso istante con le dita sfioro la pelle del volto ma, non so perché, non è più liscia come prima: al tatto sembra coperta di solchi, rughe fitte e sottili.

Non so perché, ho la sensazione che anche questo luogo immenso sia ormai invecchiato.

E tutto intorno a me appare offuscato, sbiadito come la luce fioca di una fiamma pronta a spegnersi. Alzatasi una folata di vento, fili d’aria soffiano sulla fiamma, per poco ancora sfolgorante.

E tutto mi diviene più chiaro: anche io avevo ormai esalato il mio ultimo soffio vitale.

MARIA MICCOLI, Strati

Perdo uno strato

continuo a respirare

sento il calore,

il sole sulla pelle:

vedo te.

Ne perdo un altro,

una boccata di fumo

svanisce nell’aria

diventa pioggia,

la sento scivolarmi addosso.

Perdo tre strati

in un saluto sfuggente

che viaggia, sedimenta

fiorisce, muore:

mi fermo.

Perdo uno strato

sono nuda, vulnerabile, vera

una sincerità che mi uccide

pensare che puoi leggermi così facilmente

conoscere la mia mente.

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