Trova la tua corsia. Fai la tua gara

Ceccarelli Thea, IG

Un nuotatore lo sa, fin quando avrà una corsia, ha una speranza.

Una corsia è l’alba di una promessa, il privilegio di credere in un sogno, accarezzare l’acqua e sentire di volare, è l’occasione di concorrere per un obiettivo e lottare.  In vasca, anche se il fisico esausto vorrebbe piegarsi alla fatica, la forza di volontà gli impone di rimanere sull’attenti e continuare a spingere, bracciata dopo bracciata, perché in piscina si impara a lanciare il cuore impavido oltre i propri limiti.

La storia delle sorelle Mardini, nuotatrici siriane, ci insegna che si può trovare una corsia anche nei momenti più bui, quando il profumo di cloro sembra un lontano ricordo che evoca nostalgia.

Corre l’estate 2015 e, in una burrascosa notte di agosto nella quale le onde dell’Egeo, così alte da nascondere il chiarore della luna, si infrangono contro un malmesso gommone, Yusra e Sarah vedono, oltre l’oscurità delle acque, la loro corsia, la luce di una speranza, e si tuffano in mare. 

Coraggiose, generose ed eroiche, le due ragazze nuotano per oltre tre ore, trainando sino alle coste greche i diciassette compagni di viaggio, i quali, non sapendo nuotare, si stringono l’un l’altro, gridando, piangendo, pregando, a bordo di un’imbarcazione troppo piccola per il loro peso, incurvata dall’ acqua e con il motore in avaria. 

«Siamo soli, in balia del mare in tempesta…La fune mi taglia il palmo delle mani. Il mare trascina e risucchia i miei vestiti. Braccia e gambe mi fanno male per lo sforzo. Tieni duro. Resisti…Come siamo arrivati a questo punto? Quand’è che la nostra vita ha iniziato a valere così poco? Fino a rischiare tutto…Mi aggrappo alla fune con tutte le mie forze. Non lascerò che mia sorella faccia tutto da sola. Non morirà nessuno sotto i nostri occhi. Siamo delle Mardini. E nuotiamo». (Estratto da Butterfly, autobiografia di Yusra Mardini).

Al sorgere del sole il gommone tocca finalmente terra, sono giunti a Lesbo.  Sono tutti salvi.

Yusra e Sarah hanno rischiato le proprie vite, così come gli altri siriani, iracheni e somali i quali si sono imbarcati dalle coste turche di Smirne con la speranza di raggiungere l’Europa, area in cui vigono i diritti sui rifugiati sanciti dalla convenzione di Ginevra del 1951.

Quant’ è lunga ed impervia la strada per raggiungere tali diritti!

Un profugo ottiene lo status di rifugiato a seguito di una fuga costretta da una guerra, da un brutale massacro. Egli ha visto la distruzione della sua casa e spesso della propria famiglia; ha rinunciato ad ogni bene materiale intraprendendo un viaggio di dolore, di fame, di sete, di fatica e di malattia. È stato respinto ed emarginato.

Yusra e Sarah avevano rispettivamente diciassette e vent’anni quando hanno lasciato la loro Damasco, vittime di una sanguinosa guerra civile. 

Le ostilità in Siria si accendono nel 2011, insorgono nelle piazze le prime proteste contro il regime di Bashar al Assad, degenerate poi celermente in un’incessante lotta armata che devasta e riduce il Paese ad un terreno di morte e macerie. Le ragazze sono costrette ad abbandonare la città in cui sono cresciute, la loro casa, gli amici più cari e la famiglia che tanto amano, nella speranza di un futuro in cui non sia una bomba ad interporsi al loro domani.

Intraprendono un mese di traversie che le conduce inizialmente in Libano, poi in Turchia, in Grecia, attraversano i Balcani per tratti a piedi e per parti in treno, transitando in Bulgaria, Serbia, Ungheria, Austria, fino alla tanto bramata Germania. Qui viene loro concesso asilo politico.

Ben presto le strade delle due sorelle, finora sempre unite e di supporto l’una per l’altra, si dividono. 

Sarah non ha quel forte desiderio di affermarsi come nuotatrice che ha sempre animato Yusra, sente crescere in lei una nuova vocazione, quella di prestare soccorso a tutti quei profughi che ogni giorno riescono a raggiungere in vita l’Europa. Torna a Lesbo e si unisce all’Emergency Response Center International, un’organizzazione non governativa che fornisce aiuti in caso di emergenze umanitarie. Nel 2018 viene arrestata insieme all’attivista irlandese Sean Binder e i due giovani trascorrono centosei giorni in prigione prima di venir rilasciati su cauzione. Mardini, Binder ed altri ventidue attivisti greci sono accusati di essere membri di una organizzazione criminale implicata nel traffico di esseri umani, nel riciclaggio di denaro, spionaggio, violazione del segreto di stato e nella contraffazione. A novembre 2021 si è svolta la prima udienza ma Sarah Mardini non ha potuto partecipare in quanto le è stato vietato l’ingresso in Grecia. Il processo, definito una “farsa” da Amnesty international e Human rights watch è stato rinviato allo scorso 13 gennaio 2023: per tutti gli imputati, tranne che per due attivisti greci che saranno rinviati a un tribunale di grado inferiore, le accuse di reato sono annullate.

Poco prima della decisione l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati si era espresso sulla vicenda tramite la portavoce Elizabeth Throssell: «Questo tipo di processo è davvero preoccupante, perché criminalizza azioni che salvano la vita delle persone e crea un pericoloso precedente».

A Berlino Yusra rientra in piscina, finalmente si sente a casa ed è pronta a ricominciare ad allenarsi. «Il nuoto mi ha salvato la vita prima, quando ero in viaggio verso la Germania; poi, arrivata qui, mi ha dato la possibilità di ricostruirla». (Yusra Mardini). 

Se chiude gli occhi si vede ai blocchi di partenza, in piedi di fronte alla sua corsia, con lo sguardo determinato ed il cuore che le batte così forte da sentirne l’echeggio anche sotto la cuffia; percepisce l’adrenalina che le scorre nelle vene ed è pronta a scattare al momento dello start; immagina il suo sogno di sempre, quello di ogni atleta, gareggiare in un Olimpiade. 

I Giochi sono un’occasione per promuovere la fratellanza, la solidarietà e la pace. 

La lealtà, il coraggio e la profonda forza d’animo dimostrati da Yusra valgono, agli occhi del Comitato Olimpico Internazionale, la partecipazione della nuotatrice all’evento sportivo. 

A Rio, nel 2016 Yusra è in vasca come membro della Squadra Olimpica dei Rifugiati e, nell’edizione successiva dei Giochi, a Tokyo, è l’orgogliosa portabandiera del team. Ha nuotato per tutti i coloro che hanno perso la vita cercando un futuro migliore.  La sua storia è emblema di speranza per milioni di persone in tutto il mondo; anche chi fugge da una guerra può sognare di avere successo come chiunque altro. 

La giovane Mardini nel 2017 diventa ambasciatrice di buona volontà dell’UNHCR Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati

«Non c’è da vergognarsi nell’essere un rifugiato se ricordiamo chi siamo. Siamo ancora i medici, gli ingegneri, gli avvocati, gli insegnanti, gli studenti che eravamo quando ci trovavamo nelle nostre case. Siamo ancora madri e padri, fratelli e sorelle. Sono state la guerra e le persecuzioni a costringerci ad abbandonare le nostre case per cercare la pace. Questo vuol dire essere un rifugiato. Ecco chi sono io. Ecco chi siamo tutti noi, quella popolazione senza patria che cresce di giorno in giorno». (YusraMardini).

Sarah e Yusra ripensano alla frase che il papà ricordava loroquando erano a Damasco: «Trova la tua corsia, fai la tua gara» e sanno di aver affrontato con coraggio un’ottima competizione.

La storia delle sorelle Mardini è raccontata fedelmente da Sally El Hosaini nel film The Swimmers.

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