LE ROSE CHE NON COLSI. I “MAGNIFICI” ANNI DELLA GIOVINEZZA

di Alessia Risiglione, 1G

Quanti adolescenti sono cresciuti col peso di rendere magnifici questi anni? “Sono gli anni migliori”. Seguito dal mostruoso “non li buttare!”? E quanti di noi si ritrovano a pensare di star sprecando l’adolescenza e sentono la necessità di trovare modi alternativi per non far si che la paura si realizzi?

Il rimorso di cinque anni in cui non si è fatto nulla se non andare a scuola e studiare, senza interazioni sociali e senza aver prodotto qualcosa di buono, è una delle tante paura di noi ragazzi. Il timore di guardarsi indietro e non vedere nulla, guardarsi ora e non avere niente con cui costruire un futuro. Sono anni che, insieme alla loro spensieratezza, non torneranno.

Ma sono davvero anni spensierati? Come li vivono gli studenti del Giulio Cesare? Lo abbiamo chiesto ad alcuni di loro. Scopriamo le loro risposte anonime.

«Quante volte ci viene chiesto cosa vorremmo fare da grandi, dove abbiamo intenzione di vivere o che progetti stiamo cominciando a mettere in atto; ci fanno così tante domande sul nostro futuro che spesso dimentichiamo che viviamo solo nel presente e che senza di questo non c’è alcun futuro e dovremmo imparare innanzitutto a goderci la nostra adolescenza perché, purtroppo, è l’unica cosa che non farà parte del nostro futuro». 

-ragazza di 16 anni

«Sicuramente non sto vivendo al massimo la mia adolescenza e non penso che debbano per forza essere gli anni più belli; scoprire sé stessi non è sempre facile e meraviglioso, può essere anche una delle cose più difficili che dovrai affrontare per vivere, successivamente, i TUOI anni più belli. In poche parole sta a te vivere e alla fine fare il resoconto e capire quali sono stati gli anni migliori.

Per ogni persona “un’adolescenza vissuta” è una cosa diversa, per me è un’esperienza spaccata in due: una parte è come la sto vivendo adesso, ovvero sopravvivendo, facendo solo le cose “obbligatorie”; l’altra parte è quella che vorrei e che auguro agli altri: tante esperienze diverse, sia belle che brutte, per crescere e diventare degli adulti, appunto, vissuti. Deve essere un’adolescenza che quando guarderai indietro a vent’anni dirai: ho fatto tutto, o quasi, quello che volevo provare e ora so cosa voglio continuare a fare.

In conclusione per me “un’adolescenza vissuta” è la mia e quella di tanti altri che, nonostante sia povera di esperienze, non si può dire che non sia vissuta, e quella di tanti altri ancora che hanno avuto l’occasione di renderla migliore per loro».

-ragazza di 17 anni

«Alle medie pensavo che gli anni del liceo sarebbero stati anni memorabili, stupendi, pieni di cose. E in un certo senso lo sono. Ma lo sono diventati proprio ora che stanno per finire. E guardandomi indietro vedo solo un buco nero, di giorni fuori casa con sconosciuti, senza saper come comunicare con la mia famiglia, e con il desiderio di provare di tutto e di più “perché se non lo fai ora, quando lo fai?”, anni di ricerca di attenzioni da parte di adulti in modo pericoloso… Per questo a volte penso “avrei preferito un’adolescenza sprecata, vuota»

-ragazzo di 18 anni

«L’adolescenza la sto vivendo giorno per giorno così come si presenta, senza fretta e senza sentire il peso della società… possono essere gli anni più belli, ma dipende dalla persona e secondo me non va sprecata. L’adolescenza va vissuta con spensieratezza, consapevoli che è un periodo di cambiamento».

-ragazzo di 15 anni

«Non è vero, come alcuni dicono, che gli adolescenti si credono fermi nel tempo, gaudenti di una gioventù che sembra non aver mai fine. Il tempo scorre anche per noi, e ne sentiamo il segno. Davanti alle giornate che si susseguono, non di rado prive di vita e di gioia, ho paura di star sprecando la miglior parte della mia vita. La vita scivola via, non si fa carpire, “è ingorda”, non ha pietà delle nostre reticenze. Vorrei dire tante parole d’amore, vorrei saper essere spontaneo, vorrei essere un buono amico. Eppure, davanti a questa sfilza sconsolata di “vorrei”, irrompe la realtà, tiepida, deludente, diafana, ebbra di mai detti, di parole, di gioie rimaste mute e serrate nel cuore. E intanto la vita fugge, il fiore della gioventù si appassisce, lo stelo si ricurva, pende già al terreno, vedendo a terra, carichi di rimorso, fiori già caduti, rose già gualcite! Ah, è questa la fine di tutto? “Goditi questi anni, che sono i più belli!” È, questa, l’eco che rimbomba e malinconicamente incombe sulla vita di noi giovani, di me, che non ho ancora, mi pare, imparato a vivere. Tornano in mente, al riguardo, le parole del Leopardi: “E intanto il Sol (…) mi fere il guardo, e par che dica che la beata gioventù vien meno”. Anche io vedo affollarsi luci più spente all’orizzonte, sempre meno turchese farsi il cielo, sempre di più vedo sfasciarsi le nuvole dei sogni e dell’immaginazione, eppure che fare?

Strappare alla vita ogni gioia, anche quelle più smodate e indegne di approvazione? È qui il segreto della vera felicità? Vivere senza alcun pudore, darsi a sconfinati piaceri, estasiarsi? È forse qui che occorre cercare? Non credo, non so. E intanto tra questi dubbi, tra queste conosciute insoddisfazioni, il sole laggiù comincia a declinare, e nel petto piove un’amarezza, una delusione, che sembra far sentire, tremendamente in anticipo, la fine di tutte le gioie; sembra sussurrare, dar tragicamente voce, a un me futuro, sempre pronto a dire, beffato dalla vita: “Non amo che le rose che non colsi, non amo che le cose che potevano essere e non sono state”. Quanti rimpianti, quanto desiderio di tornare qui, in questo tempo, in questa vita esultante di gioventù, esuberante, e cambiare tutto, rovesciare tutto! Ma, alle soglie dell’inverno della vita, sarà troppo tardi; troppo tardi si saranno dischiusi gli occhi. Delle tante gioie, delle illusioni, delle occasioni perdute, null’altro, alla malinconica sera, che un ricordo, dolce e doloroso insieme, d’una cosa che fu».

-ragazzo di 16 anni

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