Matteo

Luca Gentilucci, ID

Matteo si svegliò verso le 7:15, ma ci mise qualche minuto per connettere il cervello al resto del corpo.

Pian piano che si preparava, stava realizzando che era già in ritardo di dieci minuti sulla tabella di marcia.

La sua sveglia, infatti, suonava alle 7:00 in punto, ma si concedeva cinque minuti in più per riassaporare l’ebbrezza dei suoi sogni, aiutandosi con la memoria a creare un finto finale che lo soddisfacesse a pieno.

Fabbricando questa finta felicità rendeva ancora più traumatica la realtà dei fatti. Quella mattina Matteo doveva sostenere l’interrogazione di fisica, la prima della sua vita. La professoressa è molto esigente e precisa, tantoché anche solamente un minuto di ritardo con lei costerebbe il ritardo segnato sul registro e la chiamata certa alla prossima interrogazione di matematica.

Il tragitto casa-scuola è di circa quindici minuti, che possono diventare diciotto, calcolando la lentezza provocata dalla lettura delle nozioni di fisica durante la camminata.

Uscito di casa alle 7:48, il suo arrivo a scuola era previsto giusto pochi istanti prima del suono della campanella che, fusa insieme a quello della voce di Carmelo, sanciva la chiusura dei cancelli.

I primi minuti andarono lisci: passo svelto, cartella sulle spalle, libro tenuto in mano e occhi fissi su di lui.

A circa metà strada, leggendo uno degli esempi proposti dal libro, Matteo atterrì: l’autorizzazione per l’uscita al bowling! Serviva entro quel giorno accompagnata da semplici cinque euro.

Guardò al volo nel portafogli e ci trovò qualche spiccio restante dai suoi acquisti alle macchinette e una banconota dai dieci euro.

Entrò nell’alimentari dopo l’OVS su Corso Trieste e comprò la bellezza di ben cinque pacchetti di gomme affinché il resto fosse di cinque euro precisi.

Posato il libro dentro il semivuoto zaino incominciò una disperata corsa verso casa, nella speranza che il padre non fosse ancora uscito, per fargli firmare la dannata autorizzazione.

A tre minuti dalle 8:00 Matteo entrò a casa affannato, si fiondò sulla scrivania del padre tendendogli il foglio e una penna.

 «Una firma qua, per favore».

 «Ma non dovresti stare a scuola? ».

Il rossore in viso, il respiro freddo e il cuore che batteva celermente furono la risposta alla frase del padre.

Ottenuta la tanto desiderata firma, Matteo precipitò dalle scale, saltando i gradini tre a tre: rischiava il crociato ogni secondo su quelle rampe.

Alle 8:00 chiuse bruscamente il portone dietro di sé ed iniziò la corsa contro il tempo: tolse il saluto e anche lo sguardo a tutte le persone imbattutesi in lui per strada. Corso Trieste era una pista olimpionica e lui era il più grande corridore del mondo.

Dai due, tre minuti previsti di ritardo era passato a dover ottimizzare il suo tempo di cinque minuti: Carmelo alle 8:10 avrebbe chiuso i cancelli, lasciando fuori tutti coloro che non erano arrivati in tempo.

Tra un semaforo e l’altro pensava già alla prossima interrogazione di matematica, che – ahimé – ormai era inevitabile. Sentiva sulla coscia destra la vibrazione del telefono che tradotto significava una ventina di compagni di classe che, terrorizzata per una possibile chiamata in fisica, inveiva contro di lui.

Alle 8.11 le sue mani erano appiccicate alle sbarre del cancello, che assomigliavano più che mai ad una prigione.

Non avendo più fiato nemmeno per richiamare Carmelo, ormai avviatosi sulle scale dell’imponente palazzo, Matteo cadde a terra e con la schiena appoggiata sul muro adiacente all’edificio si lasciò all’azione più involontaria, ma in quei momenti più desiderata. Respirare.

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