Social media: consapevolezza e responsabilità

Di Sofia Liverani

Negli ultimi tempi si è sviluppata e diffusa in maniera esponenziale la comunicazione online, specialmente attraverso i social network. Pochi anni fa una connessione globale così veloce e immediata sarebbe stata quasi inimmaginabile; in tempi ancora più remoti l’idea avrebbe potuto forse solo sfiorare la mente degli uomini dell’epoca.

Inoltre, i risvolti positivi delle piattaforme social non si limitano all’ambito comunicativo. Risulta infatti incredibile quanto sia facile supportare qualcuno online: un utente di un social media può sostenere un creatore di contenuti digitali con un commento o con un semplice e gratuito “mi piace”, oppure ricorrendo alle donazioni, come spesso succede per gli intrattenitori sulle piattaforme di Twitch e YouTube. Sempre in ambito economico, si può richiedere una commissione per aiutare disegnatori in erba e non, grazie ad apposite piattaforme molto diffuse come Ko-fi, Patreon o buymeacoffee.com, che permettono l’invio di denaro in particolare a piccoli artisti.

Come appena evidenziato, avere un profilo social su cui mostrare se stessi, i propri interessi e magari anche le proprie attività lavorative, come nel caso di Linkedin, può portare molti vantaggi, sia per il creatore che per lo spettatore. Anche l’immediatezza stessa dei social media, oramai data per scontata dalle generazioni più giovani e in particolare dalla cosiddetta “Gen Z”, sebbene stupefacente, possiede ovviamente anche dei lati negativi.

Frequentemente, quando partecipiamo a un evento sociale, vogliamo condividere un pensiero o un episodio accadutoci, e per questo decidiamo di scrivere un post. Nel nostro piccolo ci può apparire la cosa più naturale pubblicare di getto l’immagine o la riflessione in questione, che si tratti di un messaggio o di un post visibile su vari social, ma spesso non pensiamo alle conseguenze che potrebbe avere. Ben Parker, prima di morire, disse: “Da un grande potere derivano grandi responsabilità”. Nel momento in cui si pubblica qualcosa online, si ha la responsabilità di ogni parola scritta o pronunciata; il peso di ognuna di esse dipenderà direttamente dalla popolarità dell’utente. Se il profilo social in questione ha poche interazioni e una scarsa visibilità, ovviamente avrà un impatto limitato sugli altri utenti; ma se si parla di un profilo social seguito da decine, se non centinaia di migliaia di persone, certamente avrà un’influenza maggiore, la quale può diventare pericolosa.

Come se non bastasse, ciò viene considerato da molti un vero e proprio mestiere. Viene definito “influencer” chi, per carisma, competenza o popolarità, riesce nell’influenzare per l’appunto le opinioni o i comportamenti della propria audience. Vi sono influencer in ogni ambito: dalla moda alla cucina, dalla politica allo sport, dalla musica all’informatica.

La questione “influencers” è molto dibattuta: sappiamo che i social sono frequentati principalmente da un pubblico alquanto giovane e condizionabile. Si può dire che un giornalista e un influencer non differiscono eccessivamente nel loro lavoro, ma possiamo chiaramente distinguerli per due grandi peculiarità: la mancanza di preparazione di alcuni, numerosi, influencer, e la scarsa etica che non manca invece al giornalismo. È evidente che nel caso dei social è compito dell’utente selezionare le informazioni attendibili. Nonostante i maggiori social abbiano delle linee guida imposte, talvolta anche eccessivamente rigide, è arduo, se non impossibile, moderare l’intero web, per quanto ciò avvenga in parte in maniera automatizzata. Da queste nicchie di rete “all’ombra” dai moderatori nascono quelle che, specialmente negli anni ‘90 si sarebbero sparse come “leggende metropolitane” o dicerie e voci di corridoio: le “fake news”. Come palesa il nome, sono notizie false di cui raramente si conosce l’autore e che si diffondono, usando un’espressione colloquiale, come la peste. Non solo però le vediamo originarsi da questi coni d’ombra, ma talvolta anche da influencer: un esempio eclatante dal 2016 è la fuga di informazioni false dall’account Twitter dell’ex-concorrente alla presidenza degli Stati Uniti d’America Donald Trump, le quali supportavano la sua causa.

Questo può essere comparato al rapporto tra qualità e popolarità di un prodotto: se immesso sul mercato da un grande produttore, magari anche a un alto prezzo che giustifichiamo solo per la famosa azienda di origine, è spesso di notevole fattura, ma non nella totalità dei casi. Per natura tendiamo a credere a ciò che leggiamo, se scritto da persone con un grande impatto sugli utenti online, così come tendiamo a comprare articoli di grandi case produttrici che spesso e volentieri rivendono a rialzo merce acquistata a basso costo solo per porre su di essi la firma, unico elemento che fa alzare drasticamente il prezzo. Come possiamo vedere, una selezione consapevole delle informazioni è più che necessaria, ogni giorno di più, data la diffusione sempre più larga di questi mezzi di comunicazione e informazione.

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