Je suis Paty

di Monica De Filippis

Una serie di attentati terroristici di radici islamica che si sono susseguiti a partire dalla seconda metà di ottobre tra la Francia e l’Austria hanno contribuito a diffondere, in un’Europa già provata dalle difficoltà dovute alla complicata gestione del coronavirus, un clima di incertezza e il riaffermarsi di sentimenti islamofobi e xenofobi.

Il primo dei tre attentati che si sono susseguiti nell’arco di tre settimane è stato quello verificatosi il 16 ottobre nel comune francese di Confains-Saint-Honorine, nella regione dell’Ille-de-France, dove alle ore 18:00 il professor Samuel Paty, mentre stava uscendo da scuola, è stato aggredito dal ceceno Abdullakh Anzorov. Il giovane, servendosi di un coltello da cucina, lo ha decapitato senza nessun motivo se non quello di aver fatto il suo lavoro: insegnare educazione civica, spiegando ai suoi studenti il valore del diritto della libertà di espressione. L’unica colpa di Paty, se di colpa si può parlare, infatti, è stata quella di aver mostrato in classe delle vignette satiriche rappresentanti Maometto: immagini senz’altro blasfeme e offensive per un musulmano, ma che non possono assolutamente giustificare l’atto perpetrato contro il professore.

 Quelle stesse vignette erano state causa dell’attentato alla sede di Charlie Hebdo nel 2015.

 Già allora, dinanzi a tale notizia, era emersa la necessità di salvaguardare il diritto di espressione. Un diritto fragile. Un diritto bellissimo.

Nuovamente, oggi, ci viene da domandarci se esistono limiti alla libera espressione. Oggi, ancora una volta, ci troviamo ad affrontare la questione sulla legittimità della satira, quando questa va a ledere, talvolta, la sensibilità religiosa di qualcuno.

Domande che non dovrebbe sorgere in una Francia, anzi, in un’Europa, laica dove per altro vi è libertà di scelta: scelta, allora, di acquistare o meno una copia del numero di Charlie Hebdo, scelta, oggi, di guardare o meno quelle immagini.

A emergere, a seguito dell’attentato, è stato anche il problema della diffusione del fondamentalismo islamico nelle banlieue, come sono chiamati i sobborghi delle grandi città, caratterizzate molto spesso da una forte situazione di degradazione. Lo stesso presidente Macron, durante la cerimonia di stato per insignire il professor Paty della Legione d’Onore, ha ammesso, infatti, che la diffusione dell’Islam radicale in queste aree è stata dovuta a una politica di ghettizzazione nei confronti di cittadini di religione musulmana e di stranieri andata avanti per anni. Eppure, ha anche dichiarato l’intenzione di emanare delle leggi volte a combattere il separatismo islamico, le cosiddette “leggi anti separatista”, le quali introducono dei provvedimenti che di fatto non dimostrano di voler risolvere il problema della mancata integrazione di tale comunità.

Appellandosi, infatti, al dovere di difendere e rivendicare la laicità della Francia, ha proposto un disegno di legge che, attraverso l’introduzione di alcune restrizioni nei confronti della religione islamica, potrebbe determinare un’ingerenza della politica all’interno degli affari religiosi.

Sorge, allora, spontanea una domanda: non sarebbe meglio, invece, provare a migliorare le condizioni di vita nelle Banlieue, attraverso una riqualificazione delle stesse aeree piuttosto che emanare leggi che, cercando di risolvere gli effetti e non le cause, potrebbero andare ad accentuare la diffusione del fondamentalismo islamico?

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