«Ciò che più conta in una mostra non è quello che viene esposto, ma come
il pubblico possa poi servirsi dell’esperienza della mostra per guardare alla
realtà quotidiana da punti di vista più ampi e con nuove energie. Una mostra
dovrebbe aprire gli occhi delle persone a modi inesplorati di essere al mondo,
cambiando così la loro visione di quel mondo». Con queste parole il curatore
dell’esposizione del 2019, Ralph Rugoff, ha spiegato l‘edizione della Biennale
di Venezia da lui curata questo anno.
La prima Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia si tenne nel lontano 1895 e
da quel momento l’appuntamento biennale è rimasto fisso (venendo, in realtà,
sospeso solo durante la Seconda Guerra Mondiale). L’evento si interessa di stimolare e promuovere manifestazioni di
arti contemporanee, cinema, musica, teatro, architettura e danza. Ogni due anni
il curatore dell’Esposizione sceglie un titolo e quello scelto da Ralph Rugoff
per questa LVI edizione in via di conclusione è May you live in interesting times, ovvero «possa tu vivere in tempi
interessanti[1]».
Aggirandosi nell’Arsenale di Venezia tra le opere dei vari artisti invitati da
tutto il Mondo, e tra i Padiglioni dei Giardini curati dagli 89 Paesi
partecipanti, si respira un’atmosfera multiculturale e ci si accorge di quanto
diverse e originali possano essere le interpretazioni della stessa proposta
artistica. Gli «Interesting times» si traducono in idee che diventano
installazioni di ogni genere, video, fotografie, sculture, luoghi interattivi. E’
evidente, in molte delle opere presenti, la scelta di utilizzare anche materiali
inusuali o riciclati; per esempio sculture nate da sovrapposizione di abiti
usati o mattonelle di vecchi palazzi trasformate in opere d’arte.
Quest’anno hanno partecipato per la prima volta quattro Paesi (Ghana,
Madagascar, Malesia e Pakistan) i quali con creatività hanno introdotto la
propria cultura e tradizione tra quelle già presenti da anni a Venezia.
L’Italia invece, nel suo padiglione
curato dal MiBAC e da Milon Farronato, ha proposto il percorso espositivo Né altra Né questa: la sfida al Labirinto,
nel quale il visitatore, letteralmente,
si perde, senza avere né un inizio né una fine da cui partire o nel quale
ritrovarsi. Nel percorso ogni visitatore e ogni visitatrice può scegliere un
proprio itinerario, confrontandosi con diverse prospettive e punti di vista,
per vivere in libertà la visione delle opere esposte e stabilire con esse un
rapporto diretto.
Tanti altri luoghi dell’Esposizione riducono la distanza tra il visitatore e
l’arte. Il proposito voluto da Rugoff, ovvero creare una mostra che sia
un’esperienza per cambiare i propri punti di vista e guardare alla realtà quotidiana con occhi
diversi, è dunque la vera peculiarità della Biennale d’arte del 2019.
[1] Si tratta di un modo di dire proverbiale ancor popolare in Cina, e non è certo un augurio, anzi: trattasi di una raffinata forma di maledizione, perché nella mentalità tradizionalista cinese (ancora molto diffusa nonostante decenni di maoismo e post-maoismo) “tempi interessanti” è sinonimo di “tempi complessi” , ovvero complicati, difficoltosi (Nota della Redazione).