Alle prese con la realtà: sei mesi del nuovo governo

di Daniele Giannoni, II G

Sono passati sei mesi dall’insediamento del governo Meloni, e se oggi volessimo dare un titolo che potrebbe rappresentare il suo operato in questo primo periodo, sarebbe “alle prese con la realtà”. Ce lo ricordiamo tutti il non ancora Presidente Meloni all’opposizione dei governi Conte e Draghi, e poi in campagna elettorale: agguerrita, sempre all’attacco e pronta ad accuse anche pesanti. Oggi quella donna politica non c’è più e ha lasciato il posto, almeno di facciata, ad una Giorgia Meloni di governo, più moderata e responsabile, se non badiamo a qualche uscita che ogni tanto si lascia sfuggire e che ci fa ripensare alla Meloni di un tempo. Ma proprio perché fino al 25 settembre non era mai stata moderata, le politiche che oggi sta portando avanti, in linea con il suo nuovo atteggiamento, vanno spesso in contrasto con le proposte per cui i suoi stessi elettori l’avevano votata. È pur vero che in Italia, come in molte altre democrazie parlamentari, non esiste il cosiddetto vincolo di mandato, il che permette non solo a moltissimi parlamentari, ad ogni legislatura che passa, di passare anch’essi da un partito ad un altro, da uno schieramento a quello opposto, da un gruppo parlamentare a quello che gli è nemico; per tanto non esiste uguale obbligo nei confronti di un programma stilato per accattivarsi gli elettori e le elettrici.

Ma cominciamo dalla fine: l’11 aprile il governo ha dichiarato lo stato di emergenza per l’incremento degli sbarchi di migranti sul territorio italiano. Nei primi mesi del 2023, infatti gli arrivi sulle nostre coste sono aumentati del 300% rispetto all’anno scorso. Innanzitutto, questo dato è la dimostrazione (se ce ne fosse stato bisogno) che chi scappa da guerre, disastri ambientali, dittature e povertà assoluta, lo fa a prescindere da chi si trova al governo italiano; è evidente che Salvini e Meloni non lo sapevano ancora quando pretendevano le dimissioni della precedente ministra degli Interni Luciana Lamorgese, ritenuta colpevole degli sbarchi di molti meno migranti rispetto a quelli che arrivano oggi. L’operato del governo in tema immigrazione fino ad oggi si è limitato ad ostacolare l’azione delle Organizzazioni Non Governative, considerate un incentivo a partire per i migranti; se però dopo queste misure gli sbarchi non diminuiscono e anzi aumentano, deduciamo che chi parte lo faccia a prescindere anche dalla presenza o meno delle ONG, che altro non fanno se non soccorrere i migranti in mare e che tuttavia da anni sono oggetto di accuse da parte di determinati partiti politici e quotidiani schierati con essi. Per bloccare davvero le partenze e quindi gli sbarchi, l’unico provvedimento efficace sarebbe quello su cui il Presidente Meloni ha costruito una parte importante della propria campagna elettorale, ossia il blocco navale delle coste libiche. Tuttavia, da quando si è insediato il nuovo governo, questa proposta, poiché totalmente inattuabile, è finita nel dimenticatoio anche di coloro che l’avevano messa sul tavolo: secondo quanto sancito dall’articolo 42 dello statuto dell’Organizzazione Nazioni Unite infatti, il blocco navale rappresenterebbe un atto di guerra; il Presidente Meloni ovviamente ne è sempre stata perfettamente consapevole, ma un conto è fare propaganda alla ricerca di voti e un altro è governare dovendo affrontare la realtà – e in ogni, di nuovo: non c’è alcun vincolo di mandato tra elettorato attivo, eletti e loro programma elettorale. 

Così dunque, per affrontare il problema, il governo è dovuto ricorrere addirittura allo stato di emergenza. Vogliamo ricordarci cosa ne pensava la nostra Presidente di questa misura? “Deriva liberticida” e “pazzi irresponsabili” urlava l’allora non ancora Presidente Meloni contro l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte quando nel luglio 2020 si discuteva della proroga dello stato di emergenza per affrontare quella che era una situazione ben più grave di quella attuale, ossia la pandemia di Covid19. Lo stato di emergenza non era una misura autoritaria ai tempi come non lo èadesso, ma sicuramente non è nemmeno la soluzione al problema migratorio.

Andando un po’ più indietro nel tempo ricordiamo uno dei provvedimenti più discussi del governo Meloni: la cancellazione del taglio delle accise sui carburanti. Per far fronte all’aumento dei prezzi dell’energia, il governo Draghi aveva applicato uno sconto sulle imposte sui carburanti e il nuovo esecutivo ha deciso di non prorogarlo. Il governo si è giustificato affermando che i soldi della legge di bilancio non erano sufficienti a coprire il taglio delle accise, ma ciò che più fa storcere il naso è che il Presidente Meloni avesse dichiarato in campagna elettorale che avrebbe addirittura abolito le accise. Pochi mesi dopo, dunque, si ritrova a fare il contrario di quanto aveva promesso, perché stare al governo significa anche dover fare i conti con le casse dello Stato. Qui viene quasi voglia di dire: meno male che non esiste un vincolo di mandato nella nostra Costituzione (Art. 67).

C’è poi il tema dei rapporti con gli altri paesi e della politica estera. “È finita la pacchia” affermava il Presidente Meloni quest’estate, dicendo che, quando al governo ci sarebbe stata lei, l’Italia non avrebbe più preso ordini dall’Unione Europea. Tuttavia, già il giorno dopo la vittoria delle elezioni i suoi toni erano totalmente diversi e, da propagandistici e populisti, nel corso dei mesi sono diventati sempre più pacifici e moderati. La Meloni infatti sa benissimo che se si è il premier del paese che ha ricevuto più soldi di tutti dall’UE grazie al Recovery Fund (e che inoltre sta rischiando di perderli per il mancato raggiungimento di alcuni obiettivi che ci erano stati richiesti), non si può andare in giro a dire che l’Europa non ci fa avere i soldi promessi facendo gli interessi della Germania; lo stesso discorso vale per tanti altri temi, tra cui in primis quello dei migranti, per il quale l’Italia ha un enorme bisogno dell’aiuto dell’UE, che non possiamo ottenere senza il mantenimento di buoni rapporti. Anche sul tema della guerra la nostra presidente (così come i suoi alleati Salvini e Berlusconi) ha fatto qualche giravolta, passando da lodare apertamente Vladimir Putin addirittura in un proprio libro e criticare le sanzioni alla Russia, a seguire per filo e per segno quanto suggerito dagli Stati Uniti (e dalla NATO). 

Insomma, si può essere d’accordo o meno con l’operato del governo fino ad oggi, ma è un dato di fatto che molte delle grandi promesse fatte in campagna elettorale e usate dal Presidente Meloni per vincere le elezioni non siano state e non saranno mantenute, perché irrealizzabili e frutto di una retorica propagandistica – nessuna novità, è accaduto con molti altri governi di ogni orientamento ideologico. È così che per distrarre dal non mantenimento di queste promesse (oltre che dall’incapacità di affrontare i veri problemi del paese), il governo in carica è costretto a mettere sul tavolo proposte esclusivamente identitarie, spesso assurde, che nulla hanno a che vedere con i reali bisogni degli italiani, come il decreto anti-rave, il divieto della carne sintetica o la proposta di comminare multe a chi usa parole “straniere” (il più delle volte anglicismi).

Il populismo e la propaganda sono utili fin quando si sta all’opposizione, ma quando si arriva al governo e si fanno i conti con la realtà dei fatti, i nodi vengono al pettine. Oggi il Presidente Meloni si trova ancora sull’onda del successo alle elezioni, ma non appena gli italiani cominceranno a fare un bilancio del suo operato e metteranno a confronto le aspettative con la realtà, la premier si ritroverà a dover convertire in fatti le parole pronunciate in campagna elettorale o a pagare le promesse date ai suoi elettori con la perdita di consensi: a quel punto la pacchia sarà finita davvero, ma soltanto per il Presidente.

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