La rivoluzione delle donne senza nome

di Antonio Montesano II E

 Uomo, sei capace di essere giusto? È Una donna che te lo chiede. Dimmi: chi ti ha dato il potere sovrano di opprimere il mio sesso?

Olympe de Gouges (all’anagrafe Marie Gouze, 1748-1793), in piena Rivoluzione Francese, ebbe il coraggio di rivolgersi in questo modo all’universo maschile,  affinché riconoscesse l’uguaglianza di diritti tra entrambi i generi. Non ritenendolo sufficiente, nella sua vita lottò anche a favore del divorzio e si schierò per l’abolizione della pena di morte e della schiavitù. Si trattava insomma di  una donna audace e forte, che Robespierre riuscì a far tacere una volta per tutte, a soli 45 anni, sotto la spietata lama della ghigliottina. In Francia il diritto delle donne alla cittadinanza costituiva uno dei temi chiave della Rivoluzione. In tutti i paesi investiti dalle rivoluzioni le donne hanno espresso un proprio parere sullo svolgersi degli avvenimenti. Le protagoniste sono proprio quelle donne in grado, grazie alla loro sapienza, di pensare, farsi una proprio idea ed esprimere poi la propria opinione a riguardo. Nel triennio giacobino (1797-1799) la loro attenzione si concentrò  sulla messa in discussione del diritto di famiglia, fondato sull’autorità maschile, che obbligava di sposarsi secondo calcoli materiali e accordi utili per le famiglie coinvolte, senza tenere conto di passioni ed inclinazioni, e riconosceva i fratelli maschi eredi come dei beni di famiglia. Il5 ottobre del 1789, dopo la presa della Bastiglia a cui le donne avevano focosamente partecipato, si dà vita a una marcia senza precedenti. Le parigine si riunirono al mercato per protestare contro l’eccessivo costo dei prodotti: nella città assediata dalle truppe monarchiche l’aumento dei prezzi avrebbero di certo presto portato una orrenda carestia. In questo quadro si collocano alcuni gruppi di francesi come le  Dames françoises, che richiesero a gran voce un’assemblea femminile parallela a quella degli Stati Generali; o l’esempio di una Madame B.B. che reclamava la libertà delle donne e degli schiavi. Capeggiate dalle ‘pescivendole’, forti lavoratrici armate di coltelli, fucili e forconi,  6.000 donne marciarono su Versailles, dove il Re e l’Assemblea Nazionale erano riuniti. Le parigine, sua sponte, vietarono agli uomini la partecipazione a questa protesta affinché non diventasse l’ennesimo inutile massacro di quel periodo. Raggiunsero la reggia con il capo della Guardia Nazionale, La Fayette, e là costrinsero il re a riceverle.

Sei donne, i cui nomi non sono mai ricordati se non per una, Madame Chéret, che ci ha tramandato le loro gesta, obbligarono il Re a firmare la nuova costituzione, regolamentare il pane e tornare a Parigi, praticamente quasi come ostaggio della Rivoluzione, sancendo così una delle svolte più importanti della stori del Settecento. Si tratta di un punto di non ritorno, i poteri vengono completamente capovolti. Il popolo che per secoli fu prigioniero di un assolutismo riesce a farsi custode del despota. Quando parliamo di Democrazia e Rivoluzione, quindi, dovremmo ricordare che queste termini sono femminili e non solo per ragioni grammaticali.

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