Matteo Messina Denaro: vita di un latitante

Stefano Hermanin III G

Il 16 Gennaio 2023 è una data destinata a rimanere negli annali della lotta alla mafia: in una clinica di Palermo viene arrestato Matteo Messina Denaro, detto “U siccu”.

Ma chi è Matteo Messina Denaro? Messina Denaro è l’uomo che, da dopo la cattura di Bernardo Provenzano, datata 11 Aprile 2006, rappresenta il volto dell’organizzazione criminale storicamente più importante del nostro paese,  almeno fino a quando la N’Drangheta, non l’ha superata per diffusione e ricchezza, vale a dire “Cosa Nostra”. Classe 1962, Messina Denaro è l’ultimo membro di quella classe politico-militare mafiosa che ha terrorizzato l’Italia intera tra il 1992 e il 1993 (periodo noto come “Seconda stagione stragista”, che culminò con gli attentati di Capaci e Via D’Amelio nei quali persero la vita i giudici istruttori Giovanni Falcone e Paolo Borsellino). Ritenuto uno degli uomini più fidati di Cosa Nostra da Totò Riina dopo l’ascesa criminale della mafia di Corleone negli anni ‘70-’80 (decretata dall’omicidio di Stefano Bontade, capo della mafia palermitana, nel 1981), Messina Denaro acquista un ruolo importante nelle gerarchie di Cosa Nostra, sia per via delle sue qualità militari sia perché la sua famiglia ha un rapporto con i proprietari dell’istituto di credito privato più importante della Sicilia, la Banca Sicula di Trapani, una delle zone con il più alto tasso di inquinamento mafioso dell’intera Sicilia e di cui Matteo Messina Denaro è “Capo-mandamento” (nel lessico mafioso il “mandamento” è un’unità territoriale affidata ad un capo).

La Banca Sicula di Trapani aveva valore strategico in quanto era la centrale di riciclaggio della massa di guadagni di Cosa Nostra provenienti soprattutto dal traffico di eroina, prevalentemente verso l’America del Nord. Con il passare degli anni Messina Denaro raccoglie i suoi gradi del campo, arrivando ad essere inviato con un gruppo ristretto di fedelissimi di Totò Riina (tra cui nomi di un certo rilievo come Bagarella e Graviano) a Roma. L’obiettivo è quello di creare una ramificazione di Cosa Nostra a Roma, che prenda il nome di “Super Cosa” in risposta alla “Superprocura” (Una procura che avrebbe dovuto coordinare tutte le procure d’Italia in modo tale da poter gestire ed affrontare in maniera più organizzata ed efficace il fenomeno mafioso, ma che di fatto non verrà mai istituita in quanto poco prima della sua creazione, il giudice Giovanni Falcone verrà assassinato) con l’obiettivo di colpire il ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli, Giovanni Falcone e Maurizio Costanzo, giornalista e showman amico del magistrato ed impegnato nella lotta alla mafia. Il progetto della “Super Cosa” però fallisce a causa di svariati errori di valutazione commessi da Messina Denaro e compagni, che vengono fatti rientrare in Sicilia. Il 14 Luglio del 1992 Matteo Messina Denaro viene incaricato di prendere parte all’ esecuzione di Vincenzo Milazzo (capo di una cosca storicamente influente all’interno di “Cosa Nostra”, Alcamo), che era infastidito dalla gestione autocratica di Riina e criticava la strategia stragista (solamente cinque giorni più tardi Cosa Nostra assassinerà Paolo Borsellino con un’autobomba in Via D’Amelio, che fece un’orribile strage). Messina Denaro prende parte all’esecuzione, uccidendo la compagna di Milazzo perché incinta di un maschio che, crescendo, avrebbe potuto decidere di vendicare il padre. Proprio nell’estate del ‘92, due pentiti di Cosa Nostra, non condividendo la strategia stragista, cominciano a collaborare con lo stato: sono i cosiddetti “cantanti” (appellativo utilizzato in ambiente mafioso per indicare i collaboratori di giustizia, gli “infami”), Balduccio di Maggio e Santino di Matteo. L’obiettivo è quello di far ritrattare Di Matteo, ma il pentito non ritratta ed è proprio per questo motivo che Matteo Messina Denaro si macchia di uno dei suoi crimini più efferati: per vendicarsi di Santino Di Matteo, nel 1993 (a seguito dell’arresto di Totò Riina) Cosa Nostra decide il rapimento del figlio Giuseppe, di soli dodici anni, che, tre anni dopo, l’11 Gennaio del 1996 viene ucciso proprio dagli uomini di Messina Denaro tramite scioglimento in acido – Giovanni Brusca, già killer di Falcone, sarà l’esecutore materiale dello strangolamento e dello scioglimento del povero bambino. Con il passare degli anni, divenuto boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro si arricchisce e la sua liquidità gli permette di stringere alleanze che gli garantiscano protezione. L’interlocutore principale delle organizzazioni mafiose in Italia, oltre alle imprese, è la politica, con cui Messina Denaro ha stretto legami importanti nel corso degli anni. A questo proposito, nel 2006, un’intercettazione ambientale in un’officina di Castelvetrano frequentata da Salvatore Messina Denaro, fratello di Matteo, rivela che il boss di Cosa Nostra avrebbe fornito il suo appoggio a Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi. Secondo le accuse e diversi pentiti, l’uomo politico scelto da Messina Denaro è Tonino D’Alì (non un uomo politico preso a caso, ma l’erede della famiglia che ha fondato la Banca Sicula di Trapani: la famiglia per cui lavorava il padre di Messina Denaro) che, candidandosi riceverà ben 52.000 preferenze per diventare senatore; D’Alì inoltre sarà sottosegretario agli interni dal 2001 al 2006. Tali accuse hanno avuto come risultato giudiziario una condanna in via definitiva che riconosce D’Alì sino al 1991 colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa (reato prescritto) e un’assoluzione dal ‘91 in poi per mancanza di prove sufficienti per altri reati. Nel 2017 la procura di Trapani ha ottenuto l’obbligo di soggiorno per D’Alì. Il tribunale per le misure di prevenzione ha affermato, inoltre, che si tratta di “Un uomo a disposizione di Messina Denaro”. Il fatto che Matteo Messina Denaro abbia avuto, per ben cinque anni, un suo uomo in un posto molto preciso delle istituzioni italiane come la sottosegreteria degli interni, è indice della forza che tutt’ora posseggono le organizzazioni criminali all’interno del nostro paese e dell’abilità del boss di Castelvetrano nel mantenere alleanze “eccellenti” che gli abbiano consentito trent’anni di latitanza.

A quanto ammonta il patrimonio di Matteo Messina Denaro: 4 miliardi sparsi  tra prestanome, immobili e opere d'arte - Il Riformista
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