La sacralità in Pasolini

di Antonio Montesano, II E

Sacro, una parola, cinque lettere di cui miliardi di persone non sanno dare una definizione. Il rapporto tra uomo e sacro è in continua evoluzione, forse anche per questo nessuno riesce a definirlo. Pasolini ne ha avuto uno particolare; questo lo può dedurre chiunque visiti la sua mostra “Tutto è santo”, allestita a Roma in occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini  (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975). La mostra è divisa in tre corpi: poetico (Palazzo delle Esposizioni), politico (Maxxi) e veggente (Gallerie Nazionali). 

Il primo corpo è veramente pieno di sorprese ed installazioni particolari: fotografie vintage, giornali dell’epoca, prime edizioni di libri, riviste sulle quali per la prima volta comparvero interviste, articoli, interventi, filmati, dischi, nastri, e oltre 100 costumi e abiti di scena.

Un’esposizione che, in ogni sua parte, parla di amore per le cose e i corpi, nel nome della santità del reale. È particolarmente interessante un’intervista condotta da Pasolini stesso ad un giocatore del Bologna in cui chiede: «Ti senti libero nel fare l’amore e nell’aspetto intellettuale nel giudicare gli altri?». Apparentemente non c’è niente di sacro in questa domanda, in realtà è l’opposto: la sacralità ne è il tema centrale. Quanto è importante infatti, o meglio quanto è sacra la libertà di amare? La sacralità di amare liberamente ed essere se stessi riempie questa domanda. Pasolini cerca la risposta in un uomo qualsiasi che con ogni probabilità non conosceva bene. Voleva capire se anche per lui la libertà fosse qualcosa di sacro, cioè qualcosa che ti riporta o attualizza il significato dell’essere. Pasolini voleva dimostrarci che se si vuole, qualcosa di sacro può essere trovato ovunque quando l’attualità si raccorda con l’eterno. 

Gli elementi presenti alla mostra riescono sempre a essere collegati con il presente. Qui sta la grandezza dell’artista. Riporto ciò che Pasolini scrisse nel 1972 nella rubrica settimanale del Tempo, intitolata Il caos: «Il terrore di essere senza ragazza crea dunque l’obbligo dell’accoppiamento, e quindi la nascita di un numero enorme di coppie artificiali, non unite da altro sentimento che quello conformistico di usare una libertà che tutti usano». Colpisce quanto anche le persone di oggi possano rivedersi in queste frasi nonostante sia passato mezzo secolo. 

Al MAXXI la chiave di lettura dell’opera pasoliniana è restituita attraverso le voci di artisti contemporanei, le cui opere evocano l’impegno politico dell’autore e l’analisi dei contenuti sociali ispirati dalle sue opere. L’esposizione è concepita come un macrotesto che include un dialogo serrato tra le opere degli artisti e gli oltre 200 documenti – tra foto e i testi – legati all’ultima fase della carriera di Pasolini, in particolare il 1975, poichè è un anno in cui Pasolini è particolarmente attivo: conferenze, interviste, presenze televisive, articoli sui giornali e le riviste più importanti e autorevoli del tempo (tra cui Il Corriere della SeraIl MondoEpocaLa StampaTuttolibri, i periodici Tempo e Gente e molti altri) caratterizzati tutti dalla sua abituale carica polemica e accusa provocatoria. I suoi interventi toccano temi scottanti e attuali come l’aborto, l’omosessualità, gli abusi del potere, la distruzione della tradizione e dell’identità italiana, effetto dell’affermazione incontrastata della cultura di massa. 

Nelle Gallerie Nazionali il percorso si sviluppa come una sorta di “montaggio” visuale, tra dipinti, sculture, fotografie e libri (per un totale di circa 140 pezzi), illustrando il potere di sopravvivenza delle immagini, trasfigurate dall’obiettivo poetico di Pasolini, la loro carica espressiva ed emotiva, testimoni del mistero sacro e insieme mondano del nostro rapporto con la realtà e con la storia. La mostra è suddivisa in sei sezioni, intitolate alle figure del corpo, altro tema trasversale del progetto espositivo che accomuna i tre musei coinvolti. 

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