Kamila Valieva e il doping nello sport

Leonardo Franco, 1D

Qualcuno di voi avrà sentito parlare della giovane pattinatrice russa, Kamila Valieva, di soli quindici anni, non solo per meriti sportivi. Infatti, esattamente un anno fa la campionessa europea è stata riscontrata positiva al test antidoping prima di una gara importante, i Giochi di Pechino. Il 14 novembre 2022 la WADA, cioè l’agenzia mondiale antidoping,ha chiesto una squalifica di quattro anni per  l’atleta e il ritiro dei titoli ottenuti nell’ultimo anno.  Dal canto suo, lla pattinatrice sostiene di non aver assunto assunto il farmaco proibito, la trimetazidina, in vista delle Olimpiadi invernali, allo scopo di migliorare le sue prestazioni. Scambiata la sostanza come una semplice caramella trovata nell’automobile del nonno: queste sembrano essere le ultime dichiarazioni della ragazza. Poiché si sente parlare spesso di doping oggi abbiamo deciso di approfondire questo fenomeno.

Cosa è?

Derivante dal termine inglese to dope, il doping consiste nell’uso di una o più sostanze con uno scopo non terapeutico, ma di miglioramento della performance in ambito sportivo.  Farne uso significa compromettere le proprie abilità competitive e ciò viene considerato come un atteggiamento sleale e scorretto e comporta un’immediata sospensione dell’atleta interessato.

La sua storia

La parola doping viene introdotta nell’ambito dell’ippica nel 1889, in America del Nord, con riferimento a un miscuglio di oppio, tabacco e narcotici somministrato ai cavalli da corsa per migliorarne la prestanza fisica. Simili sostanze erano state motivo di interesse per gli atleti già ai tempi dei Giochi Olimpici della Grecia classica, i quali assumevano decotti e preparati a base di piante e funghi dalle proprietà energizzanti.

Il 1960, anno in cui durante le Olimpiadi di Roma muore il ciclista danese Jensen, viene identificato come l’anno in cui partirà la lotta alle sostanze dopanti assunte dagli atleti.

Nel 1966 la federazione del ciclismo UCI e la federazione calcistica internazionale FIFA introducono i famosi test antidoping.

Nel 1967, invece, il Comitato Olimpico Internazionale istituisce una commissione medica, preposta ai controlli e alle analisi e definisce una lista di sostanze considerate dopanti e dunque, illecite e proibite.

 Un altro passo in avanti contro questa importante causa ci fu nel 1988, quando il corridore Ben Jhonson risultò dopato durante le Olimpiadi di Seul. A seguito di questo evento, le autorità decisero di istituire l’agenzia internazionale WADA (World Anti-Doping Agency), autrice del Codice Mondiale Antidoping.

Come si svolgono i test antidoping?

I procedimenti per lo svolgimento dei test antidoping sono accuratamente descritti dagli standard internazionali per l’esecuzione di questi test, che  le organizzazioni nazionali destinate ad eseguirli sono tenute a rispettare.

Il controllo antidoping si articola in quattro fasi fondamentali:

-notifica all’atleta interessato (se l’atleta si reca presso la sala dei controlli antidoping, la prima fase può considerarsi completata).

-prelievo del campione.

-procedura amministrativa successiva al prelievo.

-analisi di laboratorio.

Gli atleti e il doping

Decisamente serrati ad oggi sembrano essere i controlli sugli sportivi, ma non mancano casi in cui l’assunzione delle sostanze dopanti sembrino evidenti. Nell’ambito sportivo il doping rappresenta un’inflazione dei regolamenti e della legislazione penale italiana.

Da non sottovalutare sono i rischi per la salute: l’assunzione di sostanze dopanti, assunte senza uno scopo terapeutico, può risultare altamente dannosa per il corpo e causare a volte gravi effetti collaterali all’organismo tendenti a manifestarsi a distanza di tempo.

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