Diego, amando Maradona

Thea Ceccarelli, 1G

Sono trascorsi due anni da quel freddo 25 Novembre 2020, giorno in cui è giunta l’inattesa notizia della morte di Maradona, un dardo in cuore per gli infiniti che l’hanno venerato; lo piangono anche coloro che, seppur rivali nel campo da gioco, l’hanno ammirato infatuati e nutrono stima ed affetto nei suoi confronti. Diego è il numero 10 per eccellenza; lui nel verde rapisce lo sguardo e, nell’istante in cui accarezza il pallone, infiamma di calore il tuo petto. Lui è Maradona, quell’immenso che riesce a toglierti il respiro grazie al suo estro, è lui l’eternamente amato Maradona.

Carismatico e solare, il Pibe de Oro era solito scaldare lo stadio baciando i raccattapalle e invocando il sostegno del pubblico, platea che esaltava grazie al suo sconfinato talento, un genio calcistico in grado di elevare il gioco alla massima espressione della gioia.

Il bimbo di Villa Fiorito viene ricordato per la rivelazione che segue: «Ho due sogni: il primo è giocare un Mondiale, il secondo è vincerlo».  In Messico, nell’86, l’ambizione del ragazzo diviene realtà in quanto conduce la propria nazionale ad alzare la Coppa del mondo al cielo, la seconda nella storia dell’Argentina.  

Memorabile, in questo percorso, è la sfida contro l’Inghilterra ai quarti di finale, un incontro molto teso a causa delle implicazioni politiche fra i due Stati, dettate dalla Guerra svoltasi nelle isole Falkland nel vicino 82.  Quel giorno Maradona riscattò il dolore che il suo popolo aveva sofferto nel conflitto. Egli scrisse una pagina della storia del calcio segnando due reti rispettivamente nominate Mano de Dios, in quanto effettivamente conseguita con il pugno, ed il goal del secolo, un capolavoro nell’arte del dribbling.   Tanto beffarda la prima quanto di somma classe e superiorità calcistica la seconda.  Al termine della partita il Pibe de Oro affermò che il primo goal era stato realizzato «un po’ con la testa di Maradona ed un altro po’ con la mano di Dio».

In patria il Diez argentino viene venerato come una divinità e, in onore dei suoi trentotto anni, due giornalisti celebrano il compleanno quasi si trattasse del giorno di Natale. Da tale scherzoso festeggiamento nel 2001 ha avuto origine quello che definirei un goliardico esempio di sincretismo religioso: la Chiesa Maradoniana, unculto che oggi conta ben 820.000 seguaci devoti al D10S del fútbol.   

«Lui è un mago con il pallone, io l’ho visto alzarsi da terra e tirare in porta, soffia il vento d’Argentina davanti agli occhi spalancati e pieni di grande speranza» così canta l’immenso Pino Daniele nel Tango della buena suerte, brano dedicato all’idolo della sua Napoli, Maradona, dove tutti, ma proprio tutti, l’hanno amato ed oggi lo onorano. Egli ha forgiato l’animo dei partenopei ed in eterno rimarrà nei loro cuori.

Maradona è emblema di speranza, è il bambino cresciuto nella miseria della periferia di Buenos Aires nel quale la gente si identifica; è l’emarginato che diviene eroe e icona affianco al santo patrono della città.

Grazie a Diego approdano in città due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa e la memorabile Coppa Uefa dell’89. Non sono però i trofei ad entusiasmare il popolo. Soltanto chi ha vissuto sulla propria pelle tali vittorie può raccontare il loro autentico valore. Le parole di Nino d’Angelo sì, descrivono il primo scudetto del Napoli, uno scudetto che «nun si scorda cchiu’», era commovente, era gioia e dolore, Napoli ce l’aveva fatta, era la prima volta che una squadra del sud portava a casa il titolo. Per un attimo non vi erano più problemi, «piensa Napule comm’è bella, senza problem forse è cchiu’ bella ancora?» Era tutto un unico colore, tutti insieme mano nella mano, una città sola, «nun era o’ Vomero e a’ Ferrovia, l’Arenell e San Pietro a Patierno, era Napule».

Maradona aveva compiuto il miracolo!

Alle spalle del divino campione vi è Diego, dominato dalla dipendenza che l’ha reso prigioniero. Cocaina ed antidolorifici assunti oltre ogni misura divengono un’abitudine radicata. Al talento cristallino in campo si contrappone, al di fuori di esso, la fragilità dell’uomo.  Maradona è amato per il suo estro e Diego per la sincera trasparenza. Egli ha sempre raccontato con dignità le proprie debolezze ed esagerazioni, senza rifugiarsi in attenuanti.

Il 25 Novembre 2020 è giunta l’inattesa notizia, il mondo chiude gli occhi e vede il Pibe de Oro, lo vede mentre palleggia e par danzare con la propria donna, il mondo chiude gli occhi e ripercorre ogni sua singola prodezza, il mondo chiude gli occhi e Maradona ogni volta rinasce.

«Ed a luci spente suona il tango per magia, resterà qui per sempre, come un fermo immagine, chico buona fortuna». (Pino Daniele)

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