Morte (e vita) a Venezia

di Sofia Gerace e Alessandro Brando

«E così la rivide, quella riva di approdo sommamente stupefacente quella abbagliante composizione di edifici fantastici che la Repubblica offriva agli sguardi riverenti dei navigatori che si avvicinavano: i loggiati, lo splendore del palazzo e il ponte dei sospiri, le colonne con il leone e con il santo  sulla riva, il pomposo fianco aggettante del tempio fiabesco, La vista aldilà dell’arco della torre dei mori con il gigantesco orologio, e contemplando tutto questo pensò che giungere a Venezia via terra, dalla stazione ferroviaria, significava entrare in un palazzo attraverso la porta di servizio, mentre la più inverosimile delle città doveva essere raggiunta, così come aveva appena fatto lui, via nave, dal mare aperto» (Thomas Mann, Morte a Venezia).

Morte a Venezia di Thomas Mann, è un romanzo ambientato a Venezia negli anni Venti, durante una catastrofica pandemia di colera. Il libro racconta di uno scrittore tedesco, Gustav von Aschembach, che, per spezzare la tediosa routine della sua vita dedita unicamente alla scrittura, decide di partire per un viaggio, e una serie di eventi apparentemente casuali lo portano a Venezia. Giunto all’hotel Des bains incontra un bellissimo giovane polacco, Tadzio, in vacanza con la famiglia, che suscita in lui un interesse ossessivo, per la sua bellezza paragonabile alle figure classiche. L’iniziale curiosità si trasforma ben presto in una fatale passione, fatta di sguardi profondi e talvolta ricambiati. Ma a Venezia, nel frattempo era in corso una epidemia, tenuta nascosta ai turisti che, ignari, continuavano a soggiornare. Il protagonista apprende da alcuni dettagli che sta accadendo qualcosa di strano. Venuto a conoscenza del reale stato delle cose, decide di non partire prima che la famiglia del ragazzo amato abbia abbandonato la città. Questa decisione fatale, dettata da uno stupore che si tramuta in amore, lo porterà ad ammalarsi e morire.

Lo scenario che Thomas Mann decide di mostrarci descrive una città ammalata, priva della sua vitalità. Strade e canali completamente vuoti e un insistente sentore di disinfettante, che modificano la percezione e le sensazioni trasmesse dal paesaggio unico di Venezia. La città, tuttavia, rimane in questo sfacelo magnificamente affascinante. Proprio questa solitudine fa spiccare elementi nascosti dalla calca e dalla frenesia del turismo. 

Quest’estate abbiamo potuto ammirare i paesaggi suggestivi di Venezia. Abbiamo trovato una città coinvolgente ed emozionante, tra storie di antichità, mostre di arte contemporanea e degustazioni enogastronomiche. Abbiamo vissuto quest’esperienza in una Venezia tornata ai regimi pre-crovid, con traghetti colmi e strade affollate e un clima afoso, talvolta sfiancante. Nonostante le condizioni opprimenti la nostra voglia di girare e scoprire luoghi affascinanti di questa città cresceva giorno dopo giorno.

Differente era la situazione durante il lock-down, che ha interessato tutta l’Italia, ma senza dubbio i Veneziani sono stati i più fortunati. Si sono trovati a vivere per la prima volta in una città priva del caos che la caratterizza per tutto l’anno, e di conseguenza di tutta la sporcizia, il traffico, i rumori che un tale folla di turisti porta inevitabilmente. Infatti, le strade hanno trovato pace, i canali si sono purificati a tal punto da poter permettere ad animali, come una famiglia di delfini, di addentrarsi come non succedeva da anni. La natura si è riappropriata dei propri spazi. Avremmo voluto goderci quel silenzio dolce di una città così bella, e spingerci in una ricerca dell’ispirazione, della bellezza e dell’amore, come quella del protagonista del libro.

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