DAHMER. IL MOSTRO DI MILWAUKEE

di Ginevra Morelli e Marta Perciaccante

Dal 21 Settembre di quest’anno è possibile vedere sulla piattaforma digitale Netflix la serie tv basata sulla storia vera di Jeffrey Dahmer. In sole tre settimane la serie ha totalizzato 196 milioni di ore di visualizzazioni in tutto il mondo, superando cosi il record di streaming che aveva raggiunto solo la serie “Squid Game”.

La serie vede come attore protagonista Evan Peters, che interpreta l’assassino in modo talmente realistico da riuscire a trasmettere il terrore che le vittime provavano nel momento in cui lui le adescava. Infatti lo stesso Peters descrive questa esperienza interpretativa come “una delle più difficili di tutta la sua carriera”, poiché ha dovuto immedesimarsi in un mostro che ha commesso orribili crimini, cercando di replicare in maniera più veritiera possibile ogni suo atteggiamento.

Ciò che ha permesso un tale successo, oltre alla straordinaria produzione e recitazione, è stata sicuramente la curiosità di approfondire una storia che non tutti conoscevano nel dettaglio e di scoprire fino a dove la malvagità può spingersi.

Ma chi è Jeffrey Dahmer? nasce nel 1960 da una famiglia disfunzionale e incostante; aveva un bel rapporto con il padre, che lo fece appassionare sin da piccolo alla tassidermia (tecnica per la conservazione di carcasse di animali morti, che può includere anche la dissezione e lo studio degli organi interni), mentre la madre era tossicodipendente. Dopo il divorzio dei genitori la madre riuscì ad ottenere l’affido di entrambi i figli e il padre andò a vivere altrove con la sua nuova compagna. Nell’estate dei 18 anni la madre se ne va con suo fratello e lascia Dahmer da solo per tre mesi, finché il padre non si accorge della situazione. Ed è proprio in quei mesi di solitudine, precisamente il 18 giugno del 1978, che Dahmer commette il primo di una lunga serie di omicidi ai danni del diciannovenne Stephen Hicks.

Per un lungo periodo il padre lo manda a vivere a casa della nonna, luogo dei suoi primi omicidi, dove infatti dopo il suo arresto e le sue confessioni furono trovati nella cantina i resti di 11 delle 17 vittime totali.

Il modus operandi era il seguente: adescava vittime omosessuali e principalmente nere fingendosi un fotografo in cerca di modelli, le portava a casa, scioglieva una sostanza narcotizzante nella bibita che gli offriva e nel momento in cui perdevano coscienza, le uccideva tramite strangolamento, le dissezionava e conservava le parti del corpo in freezer, disciolte nell’acido oppure messe in formaldeide.

Si trasferisce poi a Milwaukee, dove continua la sua attività criminale e, trovandosi ora in un condominio, più volte i vicini di casa chiamano la polizia a causa dell’odore che emanava dal suo appartamento, oltre che per i rumori e le urla preoccupanti. Chiamate e avvertimenti che vengono ignorati per mesi e mesi e che avrebbero potuto salvare la vita di molte altre vittime.

Il motivo di questa indifferenza da parte della polizia è connesso al razzismo, poiché il quartiere è abitato da comunità nere e povere: la scelta di Dahmer non è stata casuale, proprio come la scelta delle sue vittime. Un chiaro esempio di comportamento superficiale delle forze dell’ordine si verificò quando una vicina trovò un ragazzino di 14 anni, drogato, che era riuscito a scappare da casa di Dahmer, mentre lui era andato a comprare da bere. Chiamò subito la polizia che si palesò poco dopo, proprio mentre Dahmer stava tornando: egli sostenne che il ragazzino era il suo compagno; gli agenti, senza neanche chiedere documenti, né accertarsi della condizione del ragazzo, lo riconsegnarono all’uomo, servendogli ancora una volta la possibilità di uccidere.

Quando finalmente nel 1991 venne arrestato, perché una vittima riuscì a scappare, confessò senza filtri tutti i crimini commessi con tutti i dettagli, e fu condannato, dopo una serie di processi, all’ergastolo. Morirà successivamente ucciso da un detenuto nel 1995.

La serie è stata molto criticata per il modo in cui la produzione racconta le vicende dal punto di vista dell’assassino e non delle vittime, quasi permettendo al pubblico di provare empatia e pena per lui e per la sua storia. Proprio per questa analisi approfondita del personaggio, della sua vita e dei traumi che l’hanno in parte spinto a commettere i suoi crimini, una parte del pubblico l’ha compatito, arrivando quasi a giustificarlo, senza prendere in considerazione tutto il dolore che ha provocato alle vittime e alle loro famiglie. Ha avuto inoltre un impatto mediatico inquietante, infatti niente e nessuno poteva prevedere che il web si riempisse di apprezzamenti e commenti su quanto fosse affascinante il vero Jeffrey Dahmer insieme a vere e proprie fantasticherie morbose sfociate in fantasie su come sarebbe stato essere una vittima di Dahmer. Molte delle famiglie delle vittime per questo motivo si sono sentite offese e trascurate tanto che alcune di loro hanno chiesto risarcimenti per i danni morali. 

Personalmente ne consigliamo la visione perché è importante avere la consapevolezza dei livelli a cui la crudeltà umana può arrivare e anche capire come il razzismo (di quei tempi?) ha permesso la recidività dell’assassino. Consigliamo di vedere anche le interviste e le parti dei processi originali, per avere un confronto con la serie e perché hanno molto più impatto rispetto a una parte recitata.

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