“Pessimista a chi?!” Intervista a Giacomo Leopardi.

Di Valentina Olivieri.

Salve maestro.
Buongiorno.
Come si sente oggi?
Eh, me la cavo. Si va avanti.
Allora, oggi siamo qui per porle alcune domande.
Questo lo so da me. È un’intervista.
Giusto. Bene bene, non perdiamo altro tempo. Direi di partire con la domanda più comune, che si
pongono in tanti appena la si sente nominare. Lei è conosciuto da molti come il “poeta pessimista”.

Cosa vuole rispondere?
Oh, basta con queste generalizzazioni! È vero che ho attraversato delle fasi della mia vita, che voi oggi
chiamate “pessimismo storico” e “pessimismo cosmico”, in cui ho avuto delle idee chiare e precise
sull’infelicità dell’uomo segnata praticamente già alla nascita. Durante la prima fase pensavo che l’uomo,
attraverso la civilizzazione, si fosse allontanato dallo stato di natura iniziale, che lo avrebbe potuto
rendere felice, autocondannandosi. Durante la seconda ho creduto invece che l’uomo avesse un destino
infelice già segnato, perché vuole sempre troppo, sempre qualcosa in più di quello che può avere.
Questo non aiuta a smentire le dicerie.
Non ci si metta anche lei.
È stato lei a parlare.
Deve ammettere che spesso la fortuna mi ha voltato le spalle.
Trova di aver avuto una vita difficile?
Veda un po’ lei. Ho la salute cagionevole, la gobba, una malattia degenerativa, a casa ero considerato
malaticcio e mia madre cucinava vere e proprie pappette come quelle che si danno ai neonati, in amore
non ho trovato fortuna…
La troverà nel gioco.
Stia zitto lei. Dicevo… La felicità l’ho trovata solo nei libri, in un mondo che mi sembrava totalmente
diverso, raccontato nel passato. Ho creduto che fosse come narrato nei libri, perché non uscivo mai,
dovevo anche scoprire il mondo, ma quando sono giunto a Roma sono rimasto deluso.

È vero! Ci parli della biblioteca di suo padre.
Ho vissuto i primi venti anni della mia vita nel palazzo di famiglia chiuso in una stanza con una delle più
ricche biblioteche italiane del tempo, educato da una madre anaffettiva e un po’ cattiva, con gli unici
compagni di gioco che erano mio fratello Carlo e mia sorella Paolina.
Anche loro erano molto bravi nello studio.
Sì, erano molto colti.
Ma non quanto il maestro: con un fratello come lei devono essere stati sminuiti parecchie volte. Non
erano destinati ad essere apprezzati se paragonati a lei, il sommo Leopardi
.
I suoi interventi non mi piacciono. Fa parlare me?
Scusi, è il mio lavoro.
Non si giustifichi.
Va bene.
Continuiamo. Appena ho potuto sono scappato di casa, ma sono stato scoperto da un amico di famiglia
che mi ha riportato indietro. Ho poi fatto un secondo tentativo, riuscendoci, e ho viaggiato molto. Milano,
Firenze, Roma, Napoli. Ho trovato un mondo interessante da guardare, curioso, crudele, da vivere.
Non sono gli uomini ad essere crudeli, sono i casi della vita ad essere spietati. Il fato e la natura seguono
il loro corso ed evoluzione senza curarsi di noi uomini.
Non trovava la natura una dolce madre gentile che si prende cura di noi?
Inizialmente sì, ma in seguito il mio pensiero è cambiato. Ora infatti vedo la natura come una matrigna
cattiva, che ci mette al mondo senza curarsi di mantenerci. Continuo…
No, aspetti. La sua vita è bellissima, ma io le ho chiesto di parlarmi della biblioteca.
Posso cambiare intervistatore?
No, mi spiace. Ora parli della biblioteca.
Sbuffa. La biblioteca contiene oggi ventimila volumi, ma all’epoca ce n’erano dodicimila che sono poi
diventati quattordicimila nel 1839. Da ragazzo ero molto preso dallo studio. Trascorrevo ore e ore nella
ricca biblioteca paterna e nella sala da studio.
Suo fratello ha parlato di lei riguardo ciò. Dormivate assieme e assisteva quando lei di notte
tardissima si sedeva in ginocchio davanti ad un tavolino per poter scrivere fino al momento in cui il
lume si spegneva.

È così. Se l’ispirazione arriva, l’idea va subito messa per iscritto, o viene dimenticata.
Molti giovani si chiedono se non abbia avuto problemi di salute per via del troppo studio, e si
domandano se non possa recare danno anche a loro. Anche perché studiava in maniera davvero
strana.
Mai guardare il passato con gli occhi del presente! Non avevo corrente elettrica, passavo ore e ore piegato
sui libri; la gobba sarà probabilmente dovuta anche a questo, ma ero nato così, non ero certo mai stato in
forma.
Parole sante.
Poi per quanto lo studio possa aver contribuito al mio male, era l’unica cosa che mi rendesse felice, non
potevo rinunciarvi. Inoltre già a diciott’anni pensavo di essere vicino alla morte. Se avessi ascoltato il
consiglio di alcuni di studiare la tecnica poetica prima di comporre, oggi non avreste niente di ciò che ho
scritto.
Vero. Tornando al suo pessimismo…
No, basta parlarne. E smetta di dire che ero pessimista.
Ha parlato lei stesso di pessimismo storico e pessimismo cosmico.

Sì, ma non si può definire pessimista me. Ero un poeta, ero sensibile, non pessimista. Anzi, il fatto che io
abbia avuto una vita difficile, è stato visto da me come una sfida: non ho mai rinunciato e ho continuato a
lottare per trovare la felicità. Gli ostacoli e le difficoltà mi hanno messo alla prova e incoraggiato ad
andare avanti.
Credo che il nostro non sia il migliore dei mondi, ma neanche il peggiore.
Ci sono molte altre persone con una concezione della vita decisamente più pessimista della mia.
Sapesse come va il mondo oggi! Comunque può essere che lei abbia trovato la sua vita difficile per
via del suo aspetto.

Le mie opere, i miei pensieri, non sono frutto del mio aspetto. Ma poi, mi scusi, come si permette.
Mi perdoni, ma lei aveva una doppia scoliosi, era alto un metro e sessantacinque, e quest’altezza si è
poi addirittura ridotta a un metro e quarantuno.
In ogni caso, cambiando argomento, molti dicono che lei è contro l’idea del progresso per via del
pessimismo storico.

Questo non è vero, come la maggior parte delle dicerie che girano su di me. Non sono contro il progresso,
ma contro una certa idea del progresso, quella che rovina l’uomo e la natura, che ci fa tornare indietro
anziché avanti, che ci conduce verso nuove barbarie e non verso la civiltà.
Va bene, grazie mille maestro. È stato un piacere.
Le posso assicurare che il piacere è stato tutto suo.
Volevo soltanto dirle che oggi lei è considerato un maestro e le sue opere vengono insegnate nelle
scuole. Ha molte persone che l’apprezzano, anche se in vita non è stato così.

Lo so. Certo, avrei preferito averle quando ero vivo.
Non si può avere tutto dalla vita.
Lo dice a me?
Va bene. Arrivederci. Speriamo di risentirci presto.
Speriamo di no. Arrivederci

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