Il grande Gatsby

Di Marta Rigotti

Anni Venti. New York. Le vite intrecciate di giovani uomini e donne diversi per sogni, desideri, o appartenenza sociale, ma uniti tutti nello stesso destino: essere barche contro corrente, che combattono in ogni attimo. Questo racconta Fitzgerald nel suo celebre romanzo “Il grande Gatsby”. Nick si trasferisce a New York in una casa proprio accanto alla stupenda villa del leggendario Jay Gatsby. I due si incontrano e nascerà un’improbabile, ma profonda amicizia. Jay confessa all’amico di essere innamorato della cugina di Nick, Daisy, con la quale aveva avuto in passato una breve relazione, ma ora sposata con un uomo ricco in un matrimonio infelice. Nick non potrà non essere risucchiato da un vortice di segreti, amori nascosti, vendette, litigi, momenti di estrema felicità e inconsolabile nostalgia.

L’autore ci pone davanti l’esatto riflesso, la nitida fotografia della società americana degli anni Venti. La facciata è sfavillante, ma nasconde un ventre molle: la vacuità, l’insoddisfazione, la solitudine. Le luci di questo velo scintillante ci abbagliano, per non farci scorgere ciò che c’è dietro. Ma Fitzgerald questo velo lo scosta, ci mostra entrambe le facce della medaglia. La figura di Gatsby rappresenta alla perfezione questa società: contraddittorio, fragile, triste. Sì, penso che il “grande” Gatsby sia in realtà debole, insicuro: organizza grandi feste in cui raramente si fa vedere, e non a caso rimane per tutto il romanzo una figura misteriosa. Sembra più il protagonista di una leggenda che un uomo in carne e ossa. Perché Gatsby si mostra agli altri secondo le loro aspettative, fa credere alle persone ciò che esse vogliono credere, ma non manifesta il suo vero aspetto, il suo vero animo. Ce lo dice Nick stesso: appena lo aveva conosciuto gli era sembrato un uomo straordinario, poi diventati amici, scopre che in realtà “non aveva niente di cui parlare”, infine gli appare addirittura un po’ sinistro. Cambiamenti di personalità. Ma Jay Gatsby è anche triste. Triste per qualcosa che ha perso, per un errore del passato, per un momento che vorrebbe riafferrare, ma non può. È in cerca di qualcosa, ma non sa nemmeno lui cosa. Perciò spera e sogna che quella luce verde che vede dal suo pontile possa portarlo indietro nel tempo, per rimediare. Ma il passato rimane passato, da esso si può solo apprendere. Molta apparenza e poca sostanza: questa è la società di Nick, Daisy e Jay, priva dei valori veri, priva di relazioni vere, incapace di amare davvero. Una società in cui si incontrano tante maschere ma pochi volti.

Penso che il passo più rappresentativo del romanzo sia proprio l’ultimo: “Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”. Tutti loro, tutti noi siamo come barche che per raggiungere la riva devono remare contro corrente. Un’impresa ardua. Ma questa è la vita. Un messaggio profondo ed estremamente attuale, quello di Fitzgerald: la vita è una continua battaglia, e noi siamo come soldati in trincea, che non solo devono difendersi, ma anche cercare di conquistare, giorno dopo giorno, quel pezzetto di terra in più, per poi difenderlo, con tutte le nostre forze. Perché ho imparato che nella vita ci sarà sempre qualcuno pronto a rubarcelo, e se si vuole andare avanti si è costretti a sgomitare, nella nostra società così come in quella di Gatsby. Se noi non lo facciamo, gli altri lo fanno comunque, e finiamo quindi per rimanere indietro. Come Myrtle e il marito, che avevano uno stile di vita molto più semplice rispetto a quello di Gatsby, quindi magari una vita più vera, ma comunque insostenibile. Qual è dunque la soluzione? Quelle barche riusciranno a raggiungere la riva? O la corrente sarà più forte di loro? Ma mi chiedo: quella verso cui stanno remando è davvero la riva tanto attesa? Forse invece un punto di arrivo non c’è, ma è solo tutto immerso in una fitta nebbia che inganna, che disorienta. Forse persone come Jay, Daisy e Nick sono consapevoli che in una società sull’orlo di un baratro mortale è inutile cercare una meta che non esiste. Quella di una vita sregolata non è dunque una scelta, ma una conseguenza, perché è il mondo stesso ad essere senza regole. L’approdo sperato è infatti una società giusta, una vita vera, una realtà equilibrata: quasi un’utopia per essere gli anni del primo dopoguerra, del crollo di Wall Street.

Un romanzo in cui il sogno americano si sgretola pagina dopo pagina, mantenendo però tutta la doratura della facciata. Nella società delle automobili, dei bei vestiti, dei party e dello champagne, molti scelgono di rimanere in un’estasi interminabile, sospesi tra sogno e realtà, ubriachi di una sfrenatezza avvolgente, pur di spingere la propria barca verso una riva troppo lontana.

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1 Commento

  1. Bellissima recensione. Avevo letto bil romano ma mi aveva annoiato. Mi è venuto il desiderio di rileggerlo.

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