“E’ stata la mano di Dio”: la recensione

Di Beatrice Borghini

È stata la mano di Dio, il nuovo film di Paolo Sorrentino, proiettato in questi giorni nelle sale
italiane, è stato presentato alla 78esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di
Venezia aggiudicandosi il Leone d’Argento. Inoltre, la pellicola è stata scelta per rappresentare
l’Italia agli Oscar 2022 nella sezione “Miglior film internazionale”. Anche questa volta il regista
de La Grande Bellezza ha stupito e incantato. Ci troviamo a Napoli negli anni ‘80. La vita di
Fabietto, ragazzo appassionato di poesia dantesca e di calcio, viene segnata da due eventi, uno
entusiasmante l’altro doloroso, ma entrambi travolgenti: l’arrivo nella sua città del calciatore
Diego Armando Maradona e la morte dei genitori. “Maradona mi ha salvato la vita”, ha
dichiarato il regista “Avevo chiesto a mio padre di seguire il Napoli in trasferta, anziché
andare in montagna con loro, nella nuova casa di Roccaraso e lui mi ha dato il permesso. Il
giorno della partita citofonò il portiere. Pensavo per avvisarmi che fosse arrivato a prendermi
il mio amico, e invece mi disse che era successo un incidente… I miei genitori erano morti.”
Nella pellicola la sua figura si mescola con quella del protagonista Fabietto, facendoci provare
tutte le emozioni del suo alter ego, la gioia per l’arrivo di Maradona nel Napoli, il dolore per la
perdita degli amati genitori ma anche il vuoto e la profonda solitudine. Tutti i sentimenti che
lo hanno portato ad avvicinarsi al cinema. “È un film intimo e personale, un romanzo di
formazione allegro e doloroso” ha dichiarato Sorrentino in merito al suo film. La gioventù del
regista emerge dal racconto della sua città natale e ruolo fondamentale assume il mare, il
quale ritorna spesso nella pellicola, quasi a rappresentare la libertà e la speranza di
ricominciare. Sorrentino cerca di rifugiarsi nel cinema per scappare dalla “realtà scadente” e
ad ispirarlo anche questa volta è Federico Fellini, il grande regista più volte citato nella
pellicola. Il vero significato del film risalta nelle ultime scene, in particolare, quando il giovane
Fabietto incontra il famoso regista Capuano, il quale urla al ragazzo una domanda importante,
che cambierà per sempre la sua visione delle cose: “Ma tu ce l’hai qualcosa da dire?”. Quella
domanda rivolta al giovane Fabietto è rivolta a tutti noi, a tutti coloro che nascondono o che
non riescono a esprimere le proprie emozioni, i propri sentimenti, ma che vogliono provare a
cambiare, a crescere, a fare qualcosa di buono, di bello. E ancora una volta, Capuano dice a
Fabietto, di fronte alla sua rabbia e al suo dolore: “Non disunirti”, cioè non perderti. E per non
disunirsi, Fabietto va a Roma, arrendendosi al suo destino, al futuro e al suo sogno di fare
cinema. Quel sogno che con pudore era riuscito a confessare solo all’amata zia, ricoverata in
manicomio e per la quale il protagonista provava un profondo affetto e una sorta di
ammirazione, perché bella e vera. Fabietto si trasforma così in Paolo. Sorrentino con le sue
immense capacità è riuscito a realizzare anche questa volta un film straordinario, toccante e
introspettivo ma nella prima parte anche allegro e divertente, che lascia cullare lo spettatore
dalle onde del mare. E anche questa volta, come dopo aver visto La Grande Bellezza e Youth,
sono andata via dal cinema emozionata, portando con me un po’ di Sorrentino.

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1 Commento

  1. Pur non avendo visto ancora il film grazie a questa bella recensione dettagliata e ben scritta sono riuscita ad immergermi nel personaggio di Fabietto.

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